NBA: la “bolla” di Orlando e l’incognita salute

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Salute

Tra i tanti aspetti di cui la NBA deve tenere conto nell’organizzazione della stagione che, ancora in linea teorica, riprenderà a fine luglio, c’è ovviamente la questione salute. Vediamo di capire quali sono le incognite e i possibili problemi che si potrebbero verificare nella “bolla” di Orlando.

TEST GIORNALIERI 

Ovviamente, il punto principale riguarda i tamponi che, come ha comunicato la NBA, verrebbero effettuati ogni sera. Sulle pagine di The Athletic, Ethan Strauss ha intervistato il dr. Brian Sutterer, il quale ha espresso perplessità circa l’utilizzo del tampone per un tempo prolungato: si tratta di una pratica piuttosto veloce e non certo dolorosa, ma comunque un po’ fastidiosa. Durante la stagione, questa sarebbe ripetuta giornalmente anche nell’arco di tre mesi. Sutterer ha ammesso che si potrebbero verificare piccoli traumi nella narice che “ospita” il tampone e, per quanto non sia una pratica dolorosa, come detto, è sicuramente fastidiosa. Ecco perché la NBA ha finanziato una ricerca della Yale School of Public Health per capire se ci siano altri tipi di test per il covid meno invasivi ma altrettanto efficaci, come ad esempio quello della saliva (che lo stesso Sutterer ha menzionato).

Una postilla riguarda il divieto per i giocatori di farsi la doccia dopo la partita, cosa che deve avvenire nelle loro camere dei rispettivi hotel, e non negli spogliatoi del palazzo. Si tratta di una delle regole che i proprietari hanno stabilito per il ritorno alle ostilità: tuttavia, secondo Sutterer, non ci sarebbe alcun tipo di pericolo per gli atleti nel lavarsi nello stesso spazio, non essendoci prova che il virus si trasferisca né attraverso il sudore né tantomeno attraverso l’acqua delle docce comuni.

VARIE ED EVENTUALI

Le perplessità maggiori vengono, ça va sans dire, da alcuni giocatori di squadre non contender, che non vedono l’utilità di rischiare la salute propria e quella dei propri cari per giocare partite di scarsa utilità. E in questo caso, usare le perdite economiche per convincerli altrimenti non sembra sia il punto. Ecco perché pare che chi non sia intenzionato a scendere in campo possa essere sostituito da giocatori provenienti dalle squadre affiliate di G-League o anche free agent. Tra l’altro, appare quanto mai curiosa la decisione di non testare quotidianamente tutti gli addetti che lavorano dentro Disney World e che contribuiranno alla pulizia delle strutture, e che saranno liberi di circolare per il complesso senza essere sottoposti alle stringenti misure di controllo che attendono i giocatori. Agli addetti verrà misurata la temperatura e, se risulterà oltre i 38 gradi, verranno rimandati a casa.

Come se non bastasse, la Florida è uno degli stati più colpiti dal virus: in particolare nella contea di Orange (dove è situata Orlando), negli ultimi giorni la percentuale di positivi si è alzata gradualmente.
Da vedere anche come la NBA si organizzerà per tutelare gli allenatori più anziani, o comunque quelli che hanno raggiunto un’età già considerata a rischio. Vale per gli head coach ma anche per tutti gli assistenti che rientrano nella categoria: verranno ammessi in panchina solo con la mascherina? Oppure dovranno rimanere direttamente a casa?

La NBA, attraverso i proprietari e l’associazione giocatori, ha stabilito che si ritornerà a giocare. Negli ultimi giorni, però, una parte dei giocatori ha mostrato perplessità circa l’idea di riprendere a giocare, abbandonando così le proteste per la questione razziale che stanno imperversando in tutti gli USA. Sarà anche questa una questione da tenere sott’occhio, ma la sensazione è che si arriverà ad un compromesso.
Per quanto riguarda la questione salute, invece, la NBA dovrà pensare bene come affrontare le diverse problematiche che la ripresa comporterà. Gli interrogativi sono molti, e per ora pochi dubbi sono stati sciolti.

 

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M.Serra
Nato a Bologna nel 1993, laureato in Lingue e Letterature Straniere. Scrive di NFL e NBA per Ultimo Uomo e Sky Sport. Twitter: ElTrenza93

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