NBA, Golden State Warriors: Mr.Niccolò Mannion, un italiano in America

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Niccolò Mannion

Estremamente facile e tremendamente difficile. Mai si è avuto tanto materiale a disposizione riguardo la crescita di un talento di casa nostra. L’interesse italiano nei confronti del basket collegiale americano ha raggiunto picchi inesplorati, solo lontanamente immaginabili anche durante la cavalcata di Moretti alle Final Four di Minneapolis. In attesa delle gesta in canotta Blue Devils di Paolo Banchero, l’attrattiva che “Ginger Ninja” ha suscitato nel nostro Paese non ha eguali. Niccolò Mannion. Nico. Scomodando Brian Scalabrine, Red Mamba. Molti soprannomi, forse troppi per un atleta al primo anno tra i professionisti. Ma le aspettative, giustificate o meno, fondate o presunte, sono direttamente proporzionali alle identità del nuovo alfiere della pallacanestro italiana.

Scrivere di Nico è estremamente facile e tremendamente difficile. Le valutazioni del futuro spazio che saprà ritagliarsi in NBA non possono ragionevolmente basarsi sui pochi scampoli concessigli da coach Kerr nei primi mesi in casacca Warriors. Anche le carrellate di highlights del liceale e collegiale Mannion che, a distanza di migliaia di chilometri, hanno raggiunto le coste italiane non rendono perfettamente l’idea del giocatore che si ha di fronte. A maggior ragione se, considerata l’età non più verdissima dei vari Gallinari, Datome, Belinelli e Melli, l’appassionato nostrano vede nel giovanissimo cespuglio rosso la grande speranza per la rinascita dell’intero movimento. Quando il fan si trova a discutere di Nico, il rischio è quello di caricarlo di inutili pressioni ma, allo stesso tempo, di esaltarlo eccessivamente nascondendone palesi limiti ed evidenti lacune solo perché battente bandiera tricolore. In quanto a campanilismo, l’appassionato italico sa regalare visioni trascendentali.

BUON SANGUE NON MENTE

Sì, non vi state sbagliando. Se avete sentito nominare il cognome Mannion ben prima dell’ascesa del talento di Golden State, non è un lapsus freudiano. Pace Mannion: (poco) entusiasmante carriera NBA, 13 anni di professionismo tra serie A e LegaDue italiana. Cantù, Treviso, Caserta tra le altre. Nel 2001, quando gioca nella Siena pre-Montepaschi, Pace diventa papà. Il figlio Nicolò ottiene la cittadinanza italiana grazie a Gaia Bianchi, pallavolista romana, conosciuta dal buon Pace nell’anno trascorso a Caserta. Nel 2004 la famiglia decide di trasferirsi nello Utah per avvicinarsi alla famiglia di Pace, traslocando nuovamente in Arizona. Il ruolo di Pace nella crescita di Nico è, manco a dirlo, fondamentale: nel 2013 Pace rinuncia agli incarichi di head coach offerti dai licei interessati ad accaparrarsi il talento del figlio. “Voglio semplicemente essere suo padre, non il suo allenatore”. Pochi padri italiani sarebbero in grado di farlo. Ringraziamo ancora di cuore la signora Bianchi. Sentitamente.

Nico è figlio dei suoi tempi. Le sue scorribande e le schiacciate per la squadra del liceo, la Pinnacle High School di Phoenix, diventano virali, trasformando Nicolò in una sorta di web star. Le immagini compaiono nelle bacheche Instagram dei recruiter di tutta America: i college maggiori iniziano a sondare il terreno per eventuali richieste future. Nel frattempo, Ginger Ninja è uno dei più giovani cestisti di sempre ad essere protagonista di un servizio esclusivamente dedicato sulla prestigiosissima rivista “Sports Illustrated“. Diciassettenne, guida Pinnacle al record finale di 24-7 registrando 23.4 punti, 4.7 rimbalzi e 5.8 assist di media a partita. Le voci aumentano, ma per sua fortuna papà Pace è buonissimo consigliere e protettore. Nell’annata successiva, l’ultima da liceale, il talento di Nico deborda. Troppo tecnico, troppo fisicato, troppo veloce per i coetanei dell’Arizona. Due partite in particolare contribuiscono a rendere Mannion un cosiddetto consensus five-star recruit, il migliore della classe 2019 dell’Arizona. 6 dicembre 2018: contro la San Joaquin Memorial di Jalen Green, Nico ne stampa 33 in diretta televisiva nazionale. 2 febbraio 2019: 57, conditi dal buzzer beater finale, per avere la meglio di Chaparral High School. Invito al McDonald’s All-American Game e al Nike Hoop Summit in primavera. Medie finali? 30.4+6.2+6.2. Lasciamo al vostro buonsenso decidere se sono i voti di matematica o altro.

Fonte: The Arizona Republic

Due partite. Non di più. Tanto basta a Nico per attirare ulteriori sguardi su di sé. A chi dubita del suo impatto fisico con gli studenti più grandi delle altre realtà collegiali americane, Mannion risponde sin da subito. 23+9+4 contro Illinois. Uno dei pochissimi freshmen a conquistare il titolo di MVP del rinomato Wooden Legacy. Secondo quintetto della Pac-12 e All-Freshman Team. Pochi mesi di college bastano a Nico, col benestare di Pace, per dichiararsi eleggibile al Draft NBA 2020. Il dilagare della pandemia non ha permesso agli appassionati, americani e non, di pesare il valore di Nico e della sua Arizona nella March Madness. Il torneo, annullato causa Covid-19, ha inevitabilmente fatto calare le quotazioni di un ragazzo che sarebbe probabilmente andato lontano nel torneo, acquisendo così ulteriore esperienza e notorietà da aggiungere al curriculum da presentare alle franchigie NBA grazie ai risultati con i Wildcats. Lottery pick. Poi primo giro. In seguito secondo giro. Addirittura undrafted. Mai come l’anno scorso, predire a quale spot del Mock Draft potesse corrispondere il singolo talento è stato aleatorio. Le stesse squadre avevano molto meno vissuto su cui ponderare il proprio giudizio. E l’atletismo non necessariamente di primissimo livello di Nicolò ha pesato non poco. Eppure, non tutto il male vien per nuocere…

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