Esiste qualcosa di più spettacolare di un Clásico che decide l’eliminazione diretta di una delle due contendenti? Probabilmente no, e la seconda semifinale delle Final 4 di EuroLeague a Kaunas non ha fatto eccezione. Barça-Real Madrid è stata, dopo le parole della vigilia, molto più di quello che le cifre e il tabellino possono raccontare: GamePlan ne mostra tutti gli aspetti!
A LEZIONE DAL MAESTRO ABRINES
Flare screen (blocco per l’uscita del tiratore in allontanamento), pin down (blocco verticale su lato debole), piedi per terra sullo scarico dell’handler: l’inizio di Álex Abrines è da manuale del tiratore da 3. Il catalano è l’esempio plastico dell’esecuzione blaugrana: quando la squadra di Jasikevičius ha la pazienza di eseguire e di non andare fuori giri è la migliore d’Europa. Per più di un quarto il Barça segna solo da 3, non perché non riesca a penetrare ma perché non lo ricerca a prescindere. Quando le % dall’arco si normalizzano, tuttavia, vengono a galla alcune lacune sfruttate dal Real Madrid.
FATTORE NNAJI
Non solo attacco: il primo tempo del Barça è stato di alto livello anche a livello difensivo. A maggior ragione nei minuti senza Tavares il dogma è cambiare su tutti i blocchi, 1-5 compreso: la moblità e l’atletismo di Nnaji risultano determinanti nel non garantire alcun vantaggio al Chacho e agli altri palleggiatori che, cercando di evitarlo, espongono gli esterni all’arrivo del centro nigeriano in aiuto. L’ormai consueta drop aggressiva per limitare le entrate di Musa è eseguita alla perfezione da Vesely in particolare, riuscendo così a rallentare l’uscita del pallone dal pick&roll.
Mario Hezonja, Barcelona'nın fişini çekti 👋 pic.twitter.com/Or4JkB0VsN
— Euroleague Time (@euroleague_time) May 19, 2023
2+2 VS 1+2+1
Al contrario della serie col Partizan, nella semifinale di Kaunas non è risultata altrettanto decisiva la zona 2-3 del Real Madrid: con Randolph in particolare i palleggiatori del Barça sono riusciti sempre a trovare la mattonella libera per l’arresto e tiro nei pressi della lunetta, iniziando a stanare il lungo del Real e punendolo col sapiente uso del perno di Satoransky e Jokubaitis. Quando la prima linea è formata dal Chacho e da Llull, oltretutto, il fatto che si fosse avanzati di un paio di metri verso la linea di metà campo ha aperto ulteriori praterie nel midrange madridista. Da notare in particolare la gestione del quarto di campo: quando il Real flottava i due in prima linea sul lato, formando una sorta di 2+2, Saras ha preparato ottimamente la gestione degli uomini sul lato forte in modo che, nonostante la parità numerica totale, l’1-2-1 con cui erano disposti i catalani ha creato scompensi anche nell’innesco del lato debole.
IL BARCELLONA NON HA ESEGUITO SINO IN FONDO
Tre paragrafi dedicati esclusivamente ai pregi del Barcellona, eppure contro l’Olympiacos vedremo il Real Madrid. Il secondo tempo della vecchia guardia ha connotati che trascendono la nostra rubrica, così come l’interruzione del flusso offensivo del Barça. La squadra di Jasi, in sostanza, smette di eseguire i giochi senza che il Real apporti nessun particolare correttivo. Alcune delle triple costruite ottimamente non entrano, così tutto il meccanismo d’attacco del Barcellona si autosabota, creando confusione negli uomini di Saras. Sarà il maledetto canestro alla sinistra delle telecamere, ma il 9/14 del primo tempo si trasforma in 3/12 nel 3° quarto. Sanguinare davanti a un braco di squali come quelli di bianco vestiti è letale. Anzi, sanguinoso.
NDIAYE E HEZONJA SÌ, MIROTIĆ NO
A sorprendere non è la monumentale prova della Walking Mountain Edy Tavares o le giocate decisive di Rudy o le mandarine di Llull. A far stropicciare gli occhi sono l’effort difensivo di Hezonja, non esattamente abituato a mostrare il talento atletico a disposizione anche nella propria metà campo, e di Ndiaye, 2004 di nuovo in quintetto dopo gara 5 col Partizan, nel limitare Mirotić. Lo spagnolo nato a Titograd ha registrato la peggior prestazione realizzativa da quando veste la maglia del Barcellona: 3 soli punti, frutto di un libero e un jumper dalla media negli ultimi minuti del quarto quarto. La realtà è che il maggior pregio del Real è stato quello di non farlo entrare mai in partita: i 7’41” iniziali di Eli Ndiaye hanno messo sin da subito un corpo in grado di dare del tu allo skillset di Nikola. Non trovando le solite soluzioni dal post, avendo deciso Mateo di francobollargli il canterano qualsiasi cosa o blocco accadesse e non regalando così mismatch fisici, Mirotic non si è mai messo mentalmente in partita. Dopo lo stint iniziale di Ndiaye è stato il turno, principalmente, di Mario Hezonja, uno che se solo avesse voluto avrebbe potuto replicare il celeberrimo highlight su LeBron James con continuità decennale. Anche solo per una sera abbiamo goduto di diversi “momenti Hezonja”, in cui rinunciare a razionalizzare il talento e godersi la meraviglia che il croato sa portare sul parquet.