Nella drammaturgia greca il termine eroe ha molteplici significati.
Può derivare dal latino servo, colui che si occupa della salute dell’uomo a cui è destinato.
Può semplicemente essere un uomo comune il quale possiede eccelse caratteristiche mentali e fisiche che gli permettono di compiere imprese straordinarie.
Può anche avere un’accezione semidivina, per cui l’eroe è naturalmente dotato di poteri straordinari che lo rendono differente da tutti gli altri.
Il protagonista di questa storia è un eroe greco, atipico, il cui destino l’ha portato a compiere ciascuna di queste tre definizioni sopra riportate.
ATTO 1 – L’EROE SERVO
Il 27 aprile 2013 allo United Center di Chicago, dopo sessantatre minuti di partita e tre overtime i Bulls vincono rocambolescamente gara 4 del primo turno di playoff contro i Nets portandosi sul 3-1 in una serie che dovranno comunque rivincere alla settima in trasferta.
MVP assoluto della serata Nate Robinson che, illuminato come non mai, mettendone 23 nel solo ultimo quarto, attenta al record di punti segnati nei playoff in singola frazione, posseduto dal tu sai chi di Chicago che ne aveva realizzato solo uno in più contro i Sixers nel 1990.
Poche ore prima del Gadget Show, a qualche migliaio di chilometri di distanza, si era giocata un’altra partita senza dubbio meno mediatica ma notevolmente più seguita dagli scout NBA.
Al Vikelas di Nea Kifisia, piccolo quartiere dell’entroterra ateniese, si affrontavano per la finale della seconda divisione greca, l’A.E.N.K. padrone di casa e il Filathlitikos, per la prima volta nella sua storia così vicino all’approdo nella massima serie.
Al momento della palla a due sedevano sugli spalti 400 tifosi, buona parte dei quali stranieri, possibilmente ma non necessariamente americani, non per la prima volta al seguito della squadra ospite e ancora una volta per osservare da vicino quel ragazzo greco di chiare origini africane.
Perché tutti al Vikelas di Nea Kifisia erano andati per vedere giocare Giannis Antetokounmpo.
Giannis, cresciuto senza passaporto nella Grecia post Euro 2004, una cosa voleva fare nella vita: il calciatore. Sfortuna per lui che nonostante pesasse come i suoi coetanei, a questi dava mediamente dai trenta ai cinquanta centimetri. A Sepolia, modesto quartiere dei dintorni d’Atene, lo nota insieme al fratello Thanasis, l’allenatore del Filathlitikos Spiros Velliniatis, il quale, inevitabilmente attratto dalla maestosità fisica di Giannis, per convincerlo ad appassionarsi alla pallacanestro e ad allenarsi con i suoi ragazzi, gli garantisce una retribuzione ogniqualvolta lui e suo fratello si sarebbero presentati in palestra. I due, abitutati a contribuire alle (scarse) finanze degli Antetokounmpo vendendo per strada qualunque cosa gli capitasse per mano, non potevano credere alla facilità con cui sarebbero riusciti ad aiutare la propria famiglia.
Avendoci preso gusto e capendo quanto il suo aiuto potesse servire alla famiglia, nel suo anno da rookie Giannis approfittava dell’enorme buffet presente al campo d’allenamento per sfamarsi, cosi da risparmiare soldi e poter girare direttamente in Grecia tutte le mensilità che i Bucks gli retribuivano.
ATTO 2 – L’EROE UMANO
Quando ancora nessuno nel Wisconsin aveva imparato a pronunciare il suo nome, i Bucks chudono la stagione con un 15-67 che rappresenta non solo il peggior record della lega ma anche il peggiore della loro storia.
A questo punto della narrazione sarebbe da spiegare come, in soli tre anni, siano riusciti a passare da questo a diventare una delle più credibili future potenze NBA.
Purtroppo il passaggio non è ancora chiaro.
O meglio, lo è fin tanto che sarà chiaro come il ragazzo di Sepolia sia passato da scelta numero 13 in un draft la cui prima chiamata è stata quella di Anthony Bennett a giocatore più votato da colleghi e media come titolare per l’Est per il prossimo All-Star Game (si, anche sopra LeBron).
Per provare a spiegare il fenomeno Greek Freak si potrebbe partire dai numeri, freddi ma quanto mai chiarificatori.
Dal suo arrivo ai Bucks i suoi dati statistici sono migliorati tutti, ogni singola stagione. Una crescita esponenziale che ci racconta come dietro alla sua esplosione ci sia un uomo che lavora ossessivamente su ogni aspetto del gioco.
Da quando all’alba della sua ormai passata esperienza da plenipotenziario dei Bucks, Jason Kidd ha deciso di mettergli la palla in mano all’inizio di ogni singola azione e circondarlo di gente che allargasse il campo e potesse cambiare su chiunque in difesa, Giannis è diventato la point-center perfetta per questa fase storica della NBA.
La vertiginosa curva di crescita che rappresenta la sua carriera e della cui futura traiettoria siamo ancora sprovvisti, ha visto come passaggio fondamentale per marcare il territorio NBA la stagione scorsa conclusa come quinto giocatore nella storia a comandare i propri compagni di squadra in tutte le cinque principali categorie statistiche e primo in assoluto a essere nella top 20 dei predetti dati statistici. Il tutto a 22 anni d’età.
Storicamente il dato che meglio fornisce un indicazione sul futuro MVP della stagione è il PIE (Player Impact Estimate), cioè il computo statistico che analizza l’impatto di un giocatore sui risultati della squadra. Nelle ultime venti stagioni, chi alla pausa per l’All-Star Game si trovava in cima a tale graduatoria, 14 volte a fine stagione è stato premiato con migliore giocatore della lega. Quest’anno a guidare il gruppo in fuga c’è Giannis, che nonostante non vincerà l’MVP, già impacchettato verso Houston, anche in una stagione a livello di squadra di livello inferiore rispetto alle attese, continua il suo impressionante percorso di crescita.
L’unico elemento che gli manca adesso per dominare per davvero la lega è un tiro credibile dall’arco. Del suo arsenale offensivo, solamente l’8.3% rappresenta una tripla, segnata tra l’altro solamente nel 28 percento dei casi. Nonostante questo, la sua capacità di arrivare al ferro o di lavorare schiena al canestro gli permettono di avere oltre il 60 percento di true shooting % che è un dato comparabile a quelli di LeBron, Harden, Anthony Davis e Klay Thompson, cioè i alcuni tra i migliori attaccanti che questo gioco abbia mai avuto.
ATTO 3 – L’EROE SEMIDIVINO
6 febbraio 2018.
Al Madison Square Garden vengono ricevuti i Bucks.
In un clima ghiacciato dal crac al ginocchio di Kristaps Porzingis, che ha mandato all’aria qualsiasi idea di rincorsa ai playoff per i Knicks, le due squadre si trascinano per il campo.
Al quarto minuto del secondo tempo, Lance Thomas penetra in area Bucks cercando con un passaggio orizzontale Courtney Lee, pronto sul perimetro a ricevere un pallone che non gli arriverà mai. Ad interrompere l’attacco di New York s’intromette Khris Middleton che fa partire un due contro uno a tutto campo e in due palleggi si trova già in area avversaria. Tra lui e il canestro il solo Tim Hardaway Jr..
A causa dell’indecisione per le troppe possibilità a sua disposizione, Khris alza il pallone per un alley-oop piazzandolo però a tre metri dal canestro. Hardaway convinto a ragione di aver difeso come meglio non avrebbe potuto, si limita a guardare la traiettoria del pallone, prima di venire oscurato dal destinatario del passaggio di Middleton.
Giannis Antetokoumpo, il ragazzo di Sepolia, senza alcuno sforzo, gli era letteralmente saltato in testa per ricevere l’alley-oop e portare la Statua della Libertà qualche miglia più a nord .