Basket Sofa: La “cultura familiare” del Texas

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Quando si cambia squadra, quando si è bandiere, quando si formano nuovi gruppi, il senso di appartenenza la fa da padrone, alle volte è un lancio di moneta tra i Jail Blazer e i Sacramento “No” Kings ma comunque capaci di assaporare anni di gloria, altre una squadra che arriva dritta al titolo. Prendete le emozioni, i rapporti difficili e le nuove sfide, cospargetele di salsa barbecue e metteteci anche un passo religioso ad aumentare la rigidità del vostro schema, ed eccoci in Texas, che sarà sempre la terra fertile del football e dei Dallas Cowboys, ma che anche a pallacanestro se ne intende. Proprio il concetto di ‘famiglia’ in stile texano viene descritto dall’ultima settimana NBA, con Dallas, San Antonio e Houston protagoniste, neanche poi così sottotraccia.

DALLAS: NUOVA COLONIA EUROPEA

Mentre viene appena battezzata la Nowitzki Way, Dallas vive una nuova generazione di vittorie con un gruppo che sfida le leggi del progetto Erasmus. Sono giovani, sono sfrontati, si godono la vita e giocano una gran pallacanestro. I Mavs hanno un buon record, ne hanno persa una contro Lillard e soci sulla sirena e con la prima chiamata al var delle panchine nell’ultimo minuto (con la prima over-rule della nuova epoca) e si godono Porzingis e Doncic. Il primo è tornato su livelli di assoluto primato, il secondo è quel giocatore che fa innamorare della pallacanestro, un mix esplosivo nel mentre di una squadra che non ha nulla da perdere. Un tedesco a referto c’è, come sempre, un australiano di buone speranze, il solito portoricano di mille battaglie, Bobanone a fare legna quando serve, e poi giocatori americani un po’ dimenticati dai parquet più nobili, primo fra tutti Seth Curry. Dallas è solida e ha buon gioco, si permette il lusso di una partita in cui tutta la panchina va in doppia cifra, ma anzi, a dire il vero tranne Jackson, che chiuderà a quota 9, tutti i giocatori scesi sul parquet raggiungono la doppia cifra. Forse è record, forse no ma è un risultato che conta.

La linea seguita dai Mavs è in pieno stile di Mark Cuban, che non ha paura di scompaginare le carte. La prova non arriva dalle vittorie già a referto, quanto anzi dalla sconfitta al supplementare contro i Lakers. Al di là del buffetto e delle colorite parole d’affetto che LeBron rivolge al giovane Doncic – con entrambi che hanno scritto a referto una tripla doppia – la sensazione è stata quella di un gruppo che può solo migliorare da qui fino a fine stagione e che senza un canonico go to guy, può davvero punire qualsiasi avversario. La vera chiave della Dallas Family è la difesa, perchè un fly by come quello che consente a Danny Green di imbucare una tripla alla Ray Allen, che vale il supplementare Lakers, è un errore marchiano di quelli da non ripetere.

HOUSTON: EPIC (DRAMATIC) CHALLENGE

Russel Westbrook e James Harden. Si sono ritrovati, hanno formato un duo che potenzialmente è illegale per le dimensioni “small” dell’intero palcoscenico NBA, eppure la squadra è bizzosa, va tra alti e bassi e i miglioramenti del casting group che si erano visti lo scorso anno sembrano essere perduti per sempre. Questione di gerarchie, questione di palloni che vengono divisi in maniera non molto ortodossa per lo stile di gioco predicato da Mike D’Antoni. Le triple doppie per RW non sono poi così peregrine, le partite sopra le righe del Barba (che ha scritto 59 l’altra sera con una mano legata) altrettanto, eppure il record di 3-2 e la sconfitta recentissima contro Brooklyn, che non era di certo nel suo momento di forma migliore, sono la testimonianza che c’è ancora da lavorare per raggiungere traguardi importanti.

Che la coppia già vista ai Thunder avesse bisogno di tempo e spazio per ritrovarsi questo è certo, che la stessa possa funzionare con la run and gun è tutto da dimostrare, ma la certezza è la stessa dei tempi di OKC. Sembra che senza un completamento del roster questi due violini (che ai tempi avevano anche KD) senza una batteria di lunghi che sia capace di spaziarsi nell’area e garantire difesa e rimbalzi non riesca a rendere in maniera significativa. Houston, forse non abbiamo un problema, ma iniziare a capire chi sia la vera point guard della squadra e chi il gustatore pronto a sparare sugli scarichi è un primo passo significativo che deve essere fatto. Perchè le famiglie ritrovate sono belle, ma ricominciare a vivere tutti insieme è una cosa decisamente diversa.

SAN ANTONIO E IL FIGLIOL PRODIGO LEONARD

Lo hanno fischiato a Los Angeles, solo perchè l’altra parte della barricata si era sentita “non scelta” dall’ultimo MVP della Finals. L’anno passato San Antonio non era stata gentile con quel giocatore che era il simbolo del mondo Spurs e che lo aveva abbandonato tra troppe polemiche e qualche infortunio reale o presunto, l’altra sera le cose sono andate diversamente. Nella rotazione di Doc Rivers, che come tutti i coach NBA in vista del back to back gestisce le energie dei suoi atleti, Kawhi Leonard avrebbe potuto riposare, ha scelto invece di esserci, dimostrando – semmai ce ne fosse bisogno – che è imprescindibile per i Clippers, che non a caso senza di lui hanno record negativo in questa stagione. L’abbraccio di Coach Pop e l’applauso a fine partita, dopo che ancora una volta è risultato decisivo per il risultato finale (sempre senza una minima emozione o appariscenza) sono il ritorno a casa del figliol prodigo senza più rancori o polemiche, col basket e il talento che parlano da soli.

San Antonio non sarà certo la città patinata della copertina, ma riesce ancora a portare a casa un risultato significativo con un gruppo che di fatto non cambia di anno in anno. La crescita esponenziale di Patty Mills, che è un grandissimo pezzo del mosaico e sta tirando come un cecchino, il recupero di Murray e l’accoppiata con Forbes e White, fanno ben sperare in casa Spurs, dove è il sistema a crescere anno dopo anno. Perchè come in una grande famiglia, le tradizioni si rispettano e quindi macinare pallacanestro, costruire buoni tiri e fare tante piccole cose sono un must che da coach Popovich continua a trasmettersi, anno dopo anno, in ognuno dei giocatori. Che poi il sistema dei texani non è nuovo a richiamare – magari in un domani ad oggi lontano – giocatori all’ovile, ed i casi dell’Ammiraglio o dello stesso Belinelli non sono così peregrini. In una cultura che non perdona, quell’abbraccio e il “sorriso” di Leonard sono tanta roba, come le 4 vittorie incasellate finora ed un posto di prestigio meritato nella difficile Western Conference.

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