Basket Sofa: “Magic Thunder Trio”, All-Star votes and Refs

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Ne abbiamo viste tante, qui a Basket Sofa, ma come sempre il basket ci insegna, il meglio è sempre dietro l’angolo ad aspettarci. Una settimana che ha visto delle cose divertenti e dei lampi di classe non indifferenti, tra le trade deadline che si avvicina, ed i primi scrutini per l’All Star Game, ne abbiamo di carne sul barbecue da assaggiare. As Always, Enjoy your read and love basketball.

DURANT – WESTBROOK – HARDEN: NO MORE!!!

La disamina del terzetto che aveva portato i Thunder – figli dei Sonics – fino alle Finals parte dai risultati recenti delle rispettive squadre, con i Warriors che sono zoppicanti e non incidono, i Thunder che annaspano prima contro i Knicks (sì davvero) e poi al secondo overtime contro i “3 Spurs Bullets”, ed i Rockets, sempre più in ascesa e dipendenti dal “Barba”, che deve essere addirittura abbattuto – Giannis mette la freccia per l’MVP – per poter essere fermato. Senza voler essere solo tristi sul passato che poteva essere, tutti e tre incarnano un seme di tre grandi campioni, superstar e leader, ma che da soli non possono portare la propria squadra all’agone finale. Durant ha fatto la scelta di un progetto solido, dove ha un contorno di grande elite ma in cui non è la punta di diamante assoluta. Impossibile fare a meno del #35, ma le serate di Steph, Klay e quelle all’orizzonte di Cousins tendono a incidere parecchio sulle sorti della squadra della Baia. Un discorso diametralmente opposto si fa per Russell Westbrook che, se considerassimo le nude statistiche, sarebbe sempre il vostro leader, eppure il campo e le situazioni dicono che non sempre è la prima freccia che vorresti nel tuo arco a gestire i finali di partita concitati. La riprova la si ha nella gara con gli Spurs, dove chiude la solita tripla doppia con 24 punti e altrettanti assist, stavolta anche con un decente 50% dal campo. Grande partita vero? Eppure guardate anche solo gli spezzoni decisivi e basterà notare quali e quanti sono i limiti di un giocatore che forse ha raggiunto il suo apex nella crescita e non può andare oltre, laddove invece è Harden al momento il singolo più incisivo. I numeri lo offendono, ma è pur vero che col sistema di D’Antoni o fa pentole e coperchi alzando il ritmo, oppure torna ad essere il buon giocatore di sempre. Dei tre sembra quello che ha ancora qualcosa da esprimere, eppure la domanda, sempre la stessa, anche in una gara di 20 isolamenti che vince, resta puntuale: per quanto continuerà a stare in una squadra che costruisce poco gioco se non con la transizione. Forse il bello di questo terzetto è che insieme avrebbero litigato per chi doveva controllare il pallone e sbattere il muso contro gli altri due, ma non lo sapremo mai…

ALL STAR VOTES: LUKA DONCIC “UBER… ALLES”

Situata a est dell’Italia, sul liminare della penisola Balcanica, la Slovenia, primo fra gli stati a scindersi dalla Yugoslavia, conta su 2 milioni di abitanti. Non è la lezione di geografia, ma tenete a mente il numero, servirà. Sono state lanciate le votazioni per l’All Star Game e il serio candidato a rookie of the year – sfidiamo a trovargli un antagonista – ha quasi 2 milioni e mezzo di preferenze, più di Steph Curry, secondo solo a LeBron James, neanche di molto. Come sia possibile che Luka Doncic abbia ottenuto questo risultato è inspiegabile per le proporzioni, ma non se si guarda al campo, dove un ragazzo pulito e solare, che con la palla in mano incanta, si dimostra anche e soprattutto un atleta semplice e disponibile. Ha sorpreso per la dolcezza nell’interessarsi delle sorti di tifosi (avversari) ed addetti ai lavori che aveva colpito in uno dei suoi classici voli in mezzo al campo. Ha regalato magliette, scarpe autografate a tanti bambini che erano andati lì per lui, perché è l’effige di un basket nuovo, dove il talento si costruisce gara dopo gara. Se si pensa alle tante etichette che avevano per lui, a chi lo ha scartato al draft e non ha creduto in lui, allora è facile capire perché chi lo adora e rimane affascinato per lui non possa non votarlo. Bravo!!! Honorable mention per l’amico del giaguaro Joel Embiid, che venuto a sapere di un bambino in parterre che era venuto solo per lui, a gara abbastanza agevole, è andato a quel posto, si è seduto col bambino e hanno parlato di basket ed altre cose. Sogni che si avverano! Meno diplomatico D-Rose (che è secondo nei play a Ovest nelle preferenze dietro Steph) che ha mandato al diavolo – per poi scusarsi – dei giornalisti un po’ piccati. Peggio fanno Nick Young ed Enes Kanter: per “Swaggy P” mezza lite con un tifoso e presa di cellulare per un selfie, patetico, mentre il Turco dei derelitti Knicks prima pubblica un video in cui divora hamburger e patatine come se non ci fosse un domani, poi si dischiara “out for illness” ai Knicks. Male, a tratti malissimo.

ENNESIMA STORIA DI ARBITRI

Parliamo spesso qui a Basket Sofa di arbitraggi discutibili, non che le gare non ce ne diano occasione, ma qualcosa non quadra nei registri NBA, è evidente. L’ultima questione è il tecnico rifilato a Paul George nel secondo supplementare della sfida con gli Spurs per proteste reiterate. Il fischio non è sbagliato, perché le proteste erano reiterate, stizzite, era già arrivato un richiamo sull’azione precedente e quindi non ci sentiamo di contestare il fischietto per l’episodio in sé, eppure la lega è insorta, a mezzo Twitter, con tanti giocatori, Steph Curry primo tra tutti, che hanno urlato alla castroneria. Ora, vedendo la gara, il momento in cui arriva il fischio, come direbbe il buon Pessina in una delle sue telecronache, questo “non sta con lo spirito del gioco” e fin qui si concorda tutti, da qui a dire che è una decisione sbagliata il passo è però lungo. Le proteste di George erano relative ad un errato fischio precedente, che aveva regalato il vantaggio a San Antonio, con conseguente (e qui sbagliata) “compensazione” sul fronte opposto. Il problema dei tecnici quest’anno non sembra coinvolgere i soliti noti, ma è diventato un qualcosa che fa riflettere, specie gli atleti sul campo. La richiesta, ed ancora Steph porta il gonfalone, è quella di uniformità di chiamate, nulla di più. Giustissimo, ma se il doppio step back di Harden gli regala la vittoria contro i Jazz e quello di Curry viene fischiato passi, allora forse sarebbe giusto dare una seria ripassata al regolamento.

 

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