Abbiamo intervistato in esclusiva all’Head Coachs Board di Antalya, coach Carlo Finetti che è andato a ruota libera su tanti temi.
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Perché a un allenatore non di EuroLeague dovrebbe interessare investire per un corso come quello proposto dall’EHCB?
Credo che la formazione e l’aggiornamento per noi allenatori, che sia assistente o capo cambia poco, sia alla base di questo mestiere. Son venuto a sapere che c’era la possibilità di iscriversi, a febbraio l’ho fatto. Essere qui e vivere quattro giorni al cospetto dei migliori coach di EuroLeague ed EuroCup credevo fosse l’occasione giusta per aggiungere piccole pills al bagaglio, e così è stato: una masterclass più bella dell’altra.
Qualcosa da portare con sé nelle prossime esperienze, dopo la separazione con Udine?
Sicuramente la capacità di curare i dettagli e trasmettere concetti con una certa dose di carisma differenziano e distinguono un coach “normale” da quelli che hanno tenuto le lezioni.
Tra giovanili e prime squadre ha ricoperto tutti i ruoli, dall’assistente al capo allenatore passando per il vice. Siena, Stella Azzurra, Trieste, Udine… Si può affermare che sia un modo completamente diverso allenare una giovanile o una prima squadra, essere assistente o head coach? A livello umano come cambiano le relazioni a seconda del contesto?
Cambia il dovere di responsabilizzare quando si hanno dei ragazzi su quello che è il lavoro quotidiano che devono fare in palestra per loro stessi; quando si passa ai senior bisogna sì responsabilizzarli però bisogna concentrarsi anche su quello che è il risultato finale, che poi è quello su cui uno viene giudicato, che si parli di allenatori, giocatori o componenti dello staff.
Da Dalmasson a Boniciolli: a quel coaching tree sente di appartenere, ammesso che ce ne sia uno? Ci sono stati invece dei terreni di scontro con gli head coach coi quali ha collaborato?
Scontri per fortuna non ne ho mai avuti, ho avuto la possibilità di lavorare con persone straordinarie, Matteo Boniciolli su tutti. Da parte mia posso riconoscere una discreta capacità di instaurare rapporti umani validi. Dal mio canto ho sempre provato a portare passione e amore per questo lavoro e questo sport, una buona dose di stakanovismo che è la base per chiunque voglia allenare. La persona a cui sono rimasto più legato a livello cestistico e umano, oltre ad Alessandro Nocera con cui ho iniziato e che mi ha fornito uno spessore elevato a livello di settore giovanile, è Matteo Boniciolli: con lui ho condiviso gioie e delusioni sportive come con nessun altro, non ultima la finale con Verona del 2021/2022.
Proprio da coach Boniciolli ha raccolto il testimone della panchina di Udine a stagione in corso. Da assistente al ruolo di capo allenatore di A2, com’è cambiato il suo sguardo sul campionato e per quanto riguarda la gestione del gruppo? In cosa sente di essere maturato di più?
A livello di prospettiva è cambiato ben poco: siamo rimasti sottorganico da quando è andato via Matteo, c’è stato poco tempo per filosofeggiare. Siamo andati a battere molto su quelle cose concrete che servivano alla squadra per vincere le partite, erano gli ultimi 5 mesi di stagione e il momento più importante si stava avvicinando. L’obiettivo era cercare di fare più cose concrete possibile. Quest’anno mi ha lasciato la consapevolezza di aver dato tutto, io in prima persona e tutti coloro che hanno lavorato con me, sia come giocatori che ho allenato che membri del club. Nonostante la stagione non sia finita come tanta gente si aspettava, da parte mia non posso non dichiarare che si è provato di tutto e che si è dato tutto a livello di impegno, dedizione, professionalità.