Dejan Milojevic, in memoriam

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Dejan Milojevic

Quando viene a mancare un essere umano, a maggior ragione all’improvviso e dopo soli 46 anni dalla nascita, i due atteggiamenti che bisognerebbe sempre mantenere sono il rispetto e il tatto. Lo ricorda anche, a suo malgrado, l’infarto che ha colpito Dejan Milojevic a Salt Lake City durante la cena della vigilia di Utah-Golden State (rinviata a data da destinarsi, in maniera sacrosanta). L’assistente degli Warriors è stato ricoverato d’urgenza ma non ha superato la notte, e la notizia della sua morte ha inevitabilmente colpito il mondo della pallacanestro internazionale. Tra tutte le reazioni, quella forse da prendere a esempio per il futuro, per comprendere quanto il passato da cristallizzare e il futuro da perpetrare possano relazionarsi con la scomparsa di un uomo, è stata di Darko Rajakovic, attuale head coach dei Toronto Raptors.

“L’opening play della partita era un ATO che (Dejan) ha portato in NBA quando è arrivato a Golden State. Gliel’ho rubata per dedicargliela. E dedico questa vittoria a Deki”. Cosa significa di più, qualsiasi frase di circostanza necessariamente riempita oltremodo di elogi, che rischia di svuotarsi di pregnanza nel giro di pochissimo tempo, o una traccia concreta che possa continuare a lasciare il segno del passaggio di una persona nelle comunità che ha frequentato? Forse la prima, un set offensivo chiamato dalla panchina all’inizio di una partita di Regular Season NBA, anche per il rispetto che bisognerebbe riconoscere alla moglie Natasa, ai figli Nikola e Masa e a tutti i famigliari di Dejan Milojevic.

 

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