“Tuo padre era così un gran lavoratore, rispettato e omaggiato da tutte le società nelle quali ha militato. Tu, invece, sei tatuato. Birichino. Rompicoglioni. Come mai?” Chissà quante volte ancora oggi, spente 33 candeline, si dovrà sorbire la solita solfa. Inevitabile empatizzare con lui. L’immagine di sé che Daniel Hackett vuole comunicare è quantomeno chimerica. Corpo completamente ricoperto di tatuaggi. Capelli raccolti in dread di marleyana memoria. Non esattamente il ragazzo della porta accanto. Mai come in questo caso, l’apparenza inganna. E no, non se ne parla di eliminare i segni dell’inchiostro col laser o sciogliere finalmente le treccine che lo accompagnano dai tempi di USC. Daniel conserva ogni segno del passato, anche il più buio. Non è disposto a dimenticare ogni momento della sua crescita e rinascita, anche i più difficili. Per apprezzare l’uomo, il giocatore, il professionista nel quale il figlio di Rudy ha saputo incarnarsi occorre una visione a 360 gradi della sua personalità. Spigolosa e incredibilmente profonda. Ottusa e granitica. Poco malleabile e diamantina. Daniel è sempre stato così. Prendere o lasciare.
I SOGNI NON SONO IN DISCESA
SON OF GOD. Uno degli ultimi tatuaggi, uno dei più visibili. Marchiato sulla pelle del collo come mantra di un periodo nel quale anche la storica fede nel Signore sembra vacillare. Epitome perfetto del guerriero della luce. Le parole di Paulo Coelho paiono uscire dalla stilografica dettate direttamente da un esame di coscienza del nativo di Forlimpopoli. Essi vivono nel mondo, hanno iniziato il loro viaggio senza bisaccia e senza sandali. Non sempre agiscono correttamente. Soffrono per cose inutili, assumono atteggiamenti meschini, e a volte si ritengono incapaci di crescere. Sovente si credono indegni di qualsiasi benedizione o miracolo. L’eterna contraddizione, la costante paranoia di non essere compresi. Perché purtroppo, una volta instillata una convinzione, la mente umana fatica tremendamente a scrollarsela di dosso. Questione di abitudini. È innegabile che alcuni episodi e brani della carriera di Daniel abbiano fatto storcere il naso ai puristi e agli aristocratici della pallacanestro. Ma considerare solo una faccia della medaglia è atteggiamento pressapochistico. Se non deleterio.
Cresciuto tra Forlì e Pesaro da papà Rudy, ala grande dal passato NBA e lunghi trascorsi in Italia, e mamma Katia. Assiduo frequentatore dei campetti della costa adriatica, calcati ancora oggi, con gli amici di sempre, in ogni breve momento di stacco concesso da un calendario sempre più fitto. L’esperienza californiana a livello liceale e collegiale, condividendo lo spogliatoio con alcuni tra i più grandi prospetti e future stelle NBA (DeMar DeRozan) e a contatto diretto con meteore cult del panorama giovanile americano (per ulteriori info sulla consistenza della mascella di Daniel, citofonare OJ Mayo). Il ritorno in Italia, prima a Treviso e poi a quella che, da sempre e per sempre, Daniel considera “casa”. Le due stagioni a Pesaro, tra playoff e premi individuali, gli valgono la chiamata della Mens Sana Siena. In Toscana Daniel conduce la squadra alla vittoria dei massimi trofei nazionali. La deflagrazione definitiva del suo talento è a un passo.
24 dicembre 2013. La stagione lo giustificherebbe anche, ma il fulmine viene scaricato comunque a ciel sereno. La fallimentare gestione economica della realtà senese non può più permettersi lo stipendio di Hackett. Sedersi in panciolle a gustarsi ogni singolo centesimo della lauta paga, consapevole di aver contribuito in maniera decisiva ai successi della squadra? No. Daniel è troppo autentico e verace per questi ragionamenti. Da sempre il sacrificio è valore fondante. Il passaggio all’Olimpia, nato non sotto i migliori auspici, non renderà merito alla grandezza di Hackett. Lo scudetto 2014, riportato nella bacheca meneghina dopo una lunghissima astinenza, porta anche il suo marchio. La prestazione nella decisiva gara 7 col suo passato biancoverde è commovente, ma non basta a far scoccare la scintilla tra Hackett e il pubblico del Forum. Il carattere ferino e indomabile allontana gradualmente lo 0 dai favori della dirigenza. Addio Italia. Si sbarca al Pireo.