Eurolega: Obradovic chiede meno partite, ma come fare?

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Obradovic

Ormai è un tema da affrontare e più lo si pospone, più si rischia che la cosa si aggravi. Gli infortuni in Eurolega stanno cominciando a diventare una piaga più che un problema e il tema ritorna prepotentemente a galla in questi giorni perché una voce, diciamo anche piuttosto autorevole, ha calato il carico sull’argomento. Zelimir Obradovic non le ha mandate a dire:

Ci sono troppe gare tra club, finestre nazionali e coppe europee -dice il coach del Partizan-

Come abbiamo visto nella scorsa stagione, l’Olimpia Milano (per fare uno dei tanti esempi, ma non di certo l’unico) al termine della stagione ha giocato più di 90 partite, ovvero quanto una squadra NBA che gioca le 82 di stagione regolare e almeno un paio di serie playoff. Però bisogna fare una distinzione sulla qualità delle infrastrutture a disposizione della NBA per il recupero fisico dei giocatori, la qualità e quantità di fisici nella lega e soprattutto il tenore economico che ogni singola partita ha e porta nelle casse dei giocatori e delle franchigie. Il bollettino medico delle squadre è già tragico al quale si sono aggiunti Nando DeColo (8-10 settimane) e Jan Vesely (sei), due assoluti protagonisti da anni. Il famoso “the show must go on” comincia a stare stretto perchè, se da una parte il calendario fitto portasse talmente tanta ricchezza alle squadre potremmo provare a comprendere il punto (perché ricordiamo che Euroleague è la lega delle squadre e loro sostanzialmente decidono), ma così, con la destituzione di Bertomeu, i proventi che non sembrano essere così floridi come promesso dall’arrivo di IMG. Se poi abbiamo anche una pletora di partite in cui i giocatori migliori sono ai box o sono distrutti da trasferte estenuanti in serie, come la situazione può essere accettabile? Estremizziamo: senza grandi guadagni, senza spettacolo in campo e con i top player ai box, cosa ci rimane? Settimana prossima mancheranno: Higgins, Abrines, Calathes, Hilliard, DeColo, Veselj, Booker, Lighty, Acy, Napier, Shields, Mitoglou e abbiamo nominato solo i giocatori di più alto livello, senza contare ovviamente la questione Covid che prescinde da ogni ragionamento legato a questo tema. a qui l’ulteriore riflessione di Zelimir Obradovic.

Le squadre delle leghe chiuse (Euroleague ed Eurocup) dovrebbero partecipare solo ai playoff dei loro campionati.

Posso comprendere il punto di Obradovic, ma come sarebbe gestibile? Perché “devono” giocare i playoff? Con che seed e in base a che cosa rispetto a chi si è guadagnato la posizione in regular season? Sono tante criticità.
Nella nostra chat premium di Backdoor Podcast che ha addetti ai lavori che condividono le loro idee, Peppe Sindoni ha portato all’attenzione l’esempio del Nymburk che nel campionato ceco ha giocato solo le partite in trasferta per essere un valore aggiunto nel proprio campionato e portare nelle casse delle “piccole” gli incassi del botteghino che rendono sostenibile il movimento. E’ un’idea interessante, ma anche in questo caso, come verrebbe decisa la griglia playoff? Con la percentuale di vittorie che quindi esula dal numero di partite o facendo valere doppie le vittorie e le sconfitte della squadra?

Eurolega e la Federazione devono mettersi a un tavolo e discutere i calendari e il numero delle squadre.

Per questo non servivano certo le parole di Obradovic che arrivano dopo un eco che ormai dura da tanto tempo su questo tema. La necessità sembra quella di ridurre il numero di partite per garantire uno spettacolo degno di una competizione stupenda come l’Eurolega, mentre l’alternativa è negoziare questo spettacolo con dei dividendi tali da permettere alle squadre di sostenere la competizione e strutturarsi, non solo acquistando giocatori per sostituire gli infortunati, ma per potersi spostare e fare le terapie ottimizzando i tempi di viaggio, viaggiare meno, avere degli staff ancora più allargati che possano dare ai giocatori tutta l’assistenza del caso, demandando a loro solo il gioco.
Ma ora la situazione è in rapido declino e bisogna prevenire più che curare. Il come lo lasciamo decidere a chi tira i fili.

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