GamePlan Angola-Italia: Vittoria a cottura lenta

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DIFESA

  • Il timeout chiamato dopo nemmeno 2′ di gioco dal Poz è sufficientemente esplicativo: tanto le gambe esplosive possono garantire vantaggi in attacco, tanto devono garantire la tenuta difensiva di quintetti che fisicamente subiranno chili e centimetri anche più di quelli dell’Angola. Due esempi su tutti, loro malgrado, sono Stefano Tonut e Achille Polonara: un paio di letture sui pick&roll angolani sono inqualificabili per pigrizia e superficialità.
  • Che quella dell’Italia sia una difesa sorretta sulla qualità degli stunt (aiuti sul palleggio dell’uomo di un giocatore senza palla) è arcinoto. Il piano partita angolano è elementare: attaccare con tagli backdoor dell’esterno difeso da chi fa equilibrio con gli stunt. Per farlo, coach Clarós ordina dei semplici switch sulla linea di fondo, sui quali la difesa azzurra dovrebbe bilanciare con l’uomo dal lato debole rispetto allo stunt. Il condizionale, purtroppo, rimane d’obbligo.
  • A giochi rotti l’Angola si affida a un set denominato Horns: entrambi i lunghi portano un blocco al gomito o sul suo prolungamento verticale, fornendo così una doppia possibilità di scelta al palleggiatore su quale marcatore azzurro privilegiare nell’attaccare il pick&roll. Con Polonara e Melli in campo, gli esterni angolani prediligono coinvolgere il nuovo acquisto della Virtus, ma in ogni caso la scelta della difesa dell’Italia rimane quella: nei primi 16″ dell’azione si droppa, negli ultimi 8″ si cambia. Parziale ma notevole eccezione vale per i minuti in cui Alessandro Pajola entra sul parquet: la guardia virtussina permette una difesa più contenitiva, sfruttando la capacità di navigare sui blocchi e tenere il contatto col palleggiatore del ’99 anconetano.
  • La guardia virtussina è l’unico giocatore dell’Italia che evita di mostrare pigrizia mentale nella metà campo difensiva, l’unico disposto a fare fatica col corpo e con la mente. In situazioni di stunt e di aiuto&recupero, Pajo è l’unico a non esporsi ai closeout angolani.

  • Tre possessi sono sufficienti a Pozzecco per capire che la “voglia di far fatica” dell’Italia, oggi per la prima volta da mesi, è limitata: la 2-3 abbozzata nel secondo quarto risulterebbe efficace nel caso in cui si riuscisse a prendere posizione a rimbalzo e compensare i mismatch creati dalla marcatura a zona, ma le due carambole offensive concesse a Bango costringono il Poz a ordinare di tornare alla marcatura a uomo.
  • La pigrizia di cui sopra si nota soprattutto nella gestione degli esterni nelle situazioni in cui il low post angolano sia solo propedeutico, o con una ricezione per scaricare sul perimetro o per prendere contatto in vista di un’uscita dai blocchi.
  • L’inizio di terzo quarto manifesta la minima applicazione della concentrazione necessaria per una partita di FIBA WC: Tonut forza la penetrazione di Goncalves verso il centro e non il fondo, negandogli la penetrazione mancina, e successivamente Spissu viene coperto sullo stesso Goncalves per proteggerlo con 3 falli a carico. Il momento in cui, data la supponenza mostrata sino al momento, sarebbe potuto essere fatale, è lo stesso in cui Nicolò Melli sale in cattedra e porta un paio di stop difensivi fondamentali.
  • Melli accoppiato a Bango, Polonara o Ricci accoppiati a Fernando. La scelta, più esplorata in ambito NBA ma apparentemente controintuitiva nel contesto FIBA, è quella in fin dei conti migliore: avere Melli in aiuto permette all’Italia di limitare lunghi più perimetrali nelle loro zone preferite e aggiungere il corpo più grosso a disposizione (a eccezione di Diouf) nel raddoppio nel pitturato contro il 5 avversario. Se si tenesse la single coverage di Polonara o Ricci col 4 avversario e Melli col pariruolo si andrebbe sotto con entrambi, mentre così si subisce chiaramente in solo uno dei due casi e si tampona nel secondo. Nicolò “Roamer” Melli.
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