GamePlan Italia-Rep. Dominicana: Agitati e Mescolati

244

Dopo un esordio che ha confermato l’inscalfibile certezza delle convinzioni strategiche degli Azzurri, Italia-Repubblica Dominicana si presenta come un confronto dal peso specifico decisamente maggiore, considerata l’affermazione dei caraibici nella gara d’esordio con la Filippine. Come gestirà l’Italia la marcatura di Karl-Anthony Towns? Coach Néstor García avrà previsto una staffetta ad hoc per gestire Simone Fontecchio? GamePlan proverà a concentrarsi su questi e altri aspetti chiave della seconda gara del girone A della FIBA WC 2023. Prima un focus sulla gestione della fase offensiva, poi quello sulla metà campo a difesa del proprio canestro.

ATTACCO

  • Spingere la transizione primaria è l’obbligo per qualsiasi squadra, a maggior ragione per l’Italia, a maggior ragione se si affronta una squadra con una circolazione di palla ai limiti dello stagnante: il 4-0 di Achille Polonara è tanto facile da eseguire quanto difficile da concepire in linea teorica.
  • Blocchi verticali per il ricciolo degli esterni, fisicità a rimbalzo offensivo, attaccare dal perimetro qualsiasi cambio sugli switch dei dominicani: i primi 12 punti dell’Italia arrivano nel pitturato, a dimostrazione di una pressione al ferro notevole se combinata con un lungo tutt’altro che dall’indole difensiva in vernice come KAT.
  • L’attaccare costantemente il ferro, in una situazione dove Delgado e Towns sono lunghi allergici all’aiuto, è la norma. Bisogna farlo con cognizione, non sempre e comunque: forzare la penetrazione contro Feliz, uno dei migliori difensori sulla palla in Europa sulle guardie, significa non averlo analizzato a dovere in preparazione della partita o, escludendo la prima ipotesi per lo storico dello staff di Pozzecco, non avere il giusto quoziente di lucidità nel riconoscere l’accoppiamento. Stefano Tonut, purtroppo, è l’emblema dei primi attacchi a difesa schierata dell’Italia: forzare a tutti i costi finisce per mandare fuori giri e fuori ritmo.
  • Un’impressione da fuori, dall’esterno, senza conoscere i carichi di lavoro degli Azzurri: l’unico che mostra una forza calibrata nella parte superiore nel corpo è Pippo Ricci. Tutti gli altri grandissimi tiratori azzurri, da Procida a Fontecchio passando per Polonara, paiono appesantiti nel prendersi i jumper o le uscite che solitamente eseguono con la meccanica giusta.
  • Il timeout chiamato da Pozzecco a 3’44” dalla fine del 1° quarto è necessario: trasformare l’early offense azzurra di transizione e circolazione in una too early offense di tiri senza ritmo, presi per l’insicurezza nel gestire il possesso contro le mani veloci degli esterni dominicani piuttosto che per la fiducia nelle proprie percentuali da fuori.
  • La Repubblica Dominicana opta per cambiare dall’1 al 4, col solo KAT che si esula dalla contesa per privilegiare una drop profonda. Uno dei modi per attaccare questa difesa è la ricerca del mismatch in post basso: Fontecchio, Ricchi, Datome e Pajola, alternativamente, ricevono per concludere e non per riaprire.
  • Tra la fine del 1° quarto e l’ultimo possesso prima dell’intervallo, ecco che si presenta la situazione di gioco per la quale, se Italia-Repubblica Dominicana fosse una serie di Playoff e non una singola gara, non ci sarebbe storia: attaccare in Pick&Roll non è la prima opzione per la squadra di Pozzecco, ma coinvolgere KAT come difensore del bloccante è un aggiustamento che si dovrebbe esplorare con maggiore continuità. Nel primo tempo, i possessi gestiti così sono solo due: cambio dei caraibici e tiro dal palleggio di Spagnolo in faccia a Towns, triple switch della Repubblica Dominicana e autostrada al ferro per la schiacciata di Fontecchio.

  • L’unico in ritmo offensivamente per l’Italia è Gigi Datome, la cui condizione fisica globale presenta però rapidamente il conto. Le alternative dal perimetro latitano, più per percentuale che per bontà della costruzione, così l’Italia continua a voler mettere pressione al ferro. Il lavoro a rimbalzo offensivo è lodevole, così come i tagli backdoor di esterni (Spagnolo) e lunghi (Polonara) per guadagnare tiri liberi.
  • Simone Fontecchio e la self confidence: la fiducia nel tocco e nel finishing è immacolata, nonostante siano giorni in cui i tiri forzati per mettersi in ritmo sono complessivamente pochi ma quelli segnati sono ancora meno.
  • Sul 37-34 a 2’20” dall’intervallo, fatalmente, la partita cambia. Dall’espulsione di Pozzecco il nervosismo, da latente, diventa tangibile, visibile, palpabile. Il primo possesso offensivo dell’Italia ne è la cartina tornasole: per la prima volta la Repubblica Dominicana nega la ricezione in post, eventualmente scoprendosi sulla linea di fondo ma accentuando la pressione sul perimetro. Fontecchio non può sfruttare il mismatch con Liz e Spissu, avendo tutte le altre linee di passaggio negate, chiude il palleggio e prova una tripla completamente fuori ritmo. Ovviamente, primo ferro appena scheggiato.
  • L’inizio di terzo quarto è emblematico: con Fontecchio paragonabile a un barattolo di ketchup che non ne vuole sapere di fare uscire la salsa contenente (riuscirà a farlo in tempo per inzupparci le patatine fritte o queste saranno troppo fredde e stoppose?), tutta la squadra non ne trae beneficio: portare come bloccante sulla palla l’uomo marcato da Delgado e non da Towns è il primo errore, eseguire un pocket pass schiacciato con la drop del dominicano nemmeno solleticata è il secondo, forzare un runner contro KAT nel primo possesso dopo 5′ in cui lo si coinvolge finalmente è il terzo, forse il più grave.
  • Si può lavorare bene quanto si vuole a rimbalzo offensivo per garantirsi extra possessi (lavoro di Polonara infaticabile e difficilmente quantificabile per l’economia della squadra) ma, come ha sottolineato coach Trinchieri in telecronaca, “Se si chiama palla a canestro, un’indicazione su dove dovrebbe finire la sfera alla fine dell’azione ce la dice la natura di questo sport”. Se un tiratore di livello mondiale come Fontecchio prende il sostegno del tabellone su una tripla che continuerà a mettere con percentuali bulgare in carriera non è detto che la squadra abbia la forza psicologica per reagire in ogni partita. Oggi, purtroppo, non lo è stata: 7/29 da 3, dopo il 5/31 dell’esordio con l’Angola e con la maggior parte di essi ancora costruiti con un’ottima circolazione, è il dato più evidente dell’agitazione vissuta ora dall’Italia.

Pubblicità

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui