Nietzsche ha insegnato che senza una certa dose di incoscienza non c’è felicità, ma non solo. Nietzsche ha insegnato anche che per poter agire efficacemente nel presente occorre saper dimenticare il passato. Sul peso della storia, recente e lontana, di Serbia-Italia si gioca l’approccio degli Azzurri di Pozzecco alla prima partita del girone I dell’Araneta Coliseum di Manila.
L’italia deve vincere questa sorta di primo tempo di un ottavo di finale, il cui secondo troncone sarà disputato con Porto Rico, affinché anche la partita coi caraibici abbia senso di essere vinta. Come Pozzecco e il suo staff avranno deciso di affrontare l’arcinota Serbia di Svetislav Pešić, quanto abbiano previsto aggiustamenti a prescindere dall’avversario e derivati dalle vittorie e dalla sconfitta del girone precedente e quanto lo abbiano fatto per adeguarsi all’avversario specifico è oggetto d’indagine di GamePlan. Al solito, per logiche di fruizione dividiamo la strategia azzurra nelle due fasi di gioco.
ATTACCO
- I principi tattici della gara sono chiari sin dal primo possesso offensivo: attaccare Nikola Jovic dal palleggio, sfruttandone il baricentro alto sul closeout, e sfruttare qualsiasi cambio accettato dalla Serbia sui blocchi azzurri. In apertura è Fontecchio a ricevere in post su Stevan Jovic, nel possesso successivo è Melli a sigillare lo stesso play del Casademont sul Pick&Roll giocato con Spissu. Il lavoro che precede la ricezione è perfetto ma, tra entry pass troppo blandi e mani del ricevitore non esattamente di acciaio, dallo sfruttare il mismatch fisico allo sbilanciarsi alla transizione avversaria corre una minima differenza.
- La logica di Pozzecco e del suo staff è quella di attaccare il ferro non appena se na ha la possibilità, servendo il rim runner in transizione o sfruttando lo switch della Serbia. L’uomo cardine dell’Italia nella specifica situazione di gioco è Achille Polonara, presente fisicamente ma poco lucido nel concretizzare i vantaggi che si è creato lui stesso. La teoria è impeccabile, quella di forzare le penetrazioni dell’uomo marcato da un Nikola Jovic troppo superficiale nella tenuta del primo passo dal perimetro. La pratica del primo quarto, purtroppo per Achille, parla di 5 appoggi nei pressi del ferro sbagliati, che da canestri “facili” si trasformano in carica ulteriore per la squadra avversaria e in erosione dell’autostima dell’ala della Virtus Bologna.
- La pessima tecnica individuale nei passaggi d’entrata nei giochi degli Azzurri, coadiuvati a una costante pressione della Serbia sulle ricezioni del perimetro, non impedisce alla squadra di Pešić di incrinare le certezze dell’Italia. Pozzecco ha preparato benissimo la partita sui penetra-e-scarica di tutti gli esterni italiani. Lo scopo, non riuscendo ad aprirsi il campo con le uscite dei tiratori dai set che prevedono blocchi lontano dalla palla, è aprire il campo attirando gli aiuti dal lato debole serbo.
- A esclusione della tripla dal palleggio di Marco Spissu, non prevedibile e di conseguenza non marcabile, le prime 3 triple del primo quarto dell’Italia sono associabili a un errore difensivo di Nikola Jovic, sulla penetrazione che precede lo scarico o sulla comunicazione (assente, nel caso del pull up di Tonut) sui blocchi sulla palla. Il bersaglio del piano partita di Pozzecco&soci è stato colpito in pieno.
- La difesa serba si adegua sui P&R laterali gestiti da Tonut: Milutinov collassa in area per aiutare Jovic, esponendosi così al pop di Melli. Il centro dell’Olimpia è perfetto nella lettura dello spazio lasciato sul perimetro e dell’anticipo che ne impedirebbe un consegnato ad altre guardie oltre l’arco.
- Simone Fontecchio, palla in mano, col quarto di campo a disposizione per l’isolamento contro Ognjen Dobric. Potrebbe accontentarsi di “tirargli in testa”, sfruttando i centimetri di vantaggio in partenza e le ottime doti nel creare separazione sul jumper. Potrebbe, perché in realtà lo attacca fronte a canestro, mantenendo drizzate le antenne di tutti e 5 i difensori serbi e guadagnandosi viaggi in lunetta. Simone sta capendo quale momento della partita si sta giocando e come attaccare di conseguenza.
Simone Fontecchio put on a show vs. Serbia to earn TCL Player of the Game honors in a big Italy win 💪
📊 30 PTS | 7 REB | 3 AST | 73 FG% | 31 EFF#FIBAWC x #WinForItalia 🇮🇹 | #InspireGreatness pic.twitter.com/qSXWyg32Gx
— FIBA Basketball World Cup 2023 🏆 (@FIBAWC) September 1, 2023
- Movimento sulla linea di fondo da lato debole di Polonara per permettere la relocation di Spissu, il ricciolo di Datome sullo stagger per scaricare in angolo e punire l’aiuto profondo provocato dalla penetrazione in area: come i migliori Boston Celtics di Mazzulla, l’Italia del primo quarto è un manuale di drive&kick.
- La conformazione della second unit dell’Italia è totalmente diversa: la coppia di lunghi Ricci-Severini non permette le stesse situazioni dinamiche al ferro, così i vantaggi in area sono da ricercare in altre maniere. I primi due possessi sono uno short roll di Ricci e un post statico di Pajola, non esattamente i due set più utilizzati canonicamente ma quelli più giusti da pescare dal mazzo nel singolo momento. I primi 12′ dell’Italia in attacco sono la perfetta dimostrazione di come un piano partita, modificato dal massiccio e imprevisto ricorso della Serbia ai cambi difensivi, possa essere adeguato grazie alla lettura dello staff.
- Al ferro l’Italia arriva, a parte una penetrazione di Spissu accompagnato molto volentieri da Petrusev verso la linea di fondo senza permettergli di fare uscire la palla dal P&R, quando e come vuole. Il problema è finalizzare, esprimere tecnicamente il vantaggio costruito concettualmente.
- La fine di secondo quarto inizia a mostrare scricchiolii in termini di lucidità nell’attacco azzurro. Spissu conclude con un layup mancino penetrando dalla parte opposta con l’aiuto di Dobric in transizione; Polonara non crea vantaggio dal post anche quando gli uomini sul perimetro si aspettano, secondo lo schema, che almeno provi a farlo; il passaggio di Spissu verso Fontecchio non tiene conto delle qualità di anticipo di Dobric, difensore che può permettersi di lavorare sulle deflections sino alla linea di metà campo. Tre possessi consecutivi nei quali, tutto d’un colpo, pare spegnarsi la luce. Da errori tecnici, da mettere in conto anche vista la posta in palio, a errori di scelta: ai punti non meriteremmo di essere 42-40 all’intervallo, ma quelli che contano nella boxe sono diversi da quelli che contano nella pallacanestro.
- Quando si devono riconoscere le responsabilità per gli errori visti sul parquet, bisogna distinguere quelle attinenti allo staff e quelle da imputare ai giocatori. Per una squadra come l’Italia è inevitabile mantenere una concentrazione massima nella gestione dei possessi e limitare il numero di live ball turnovers, e d’altro canto è impossibile entrare nei giochi senza scegliere un passaggio di qualsiasi tipo. Sono i giocatori in campo a dover eseguire, e l’inizio di terzo quarto è disastroso: Spissu prova a riaprire sul perimetro quando ormai le fauci di Milutinov sul cambio lo hanno inghiottito, Tonut sbaglia la misura di un paio di metri e regala un contropiede a Dobric.
- Il metro arbitrale costringe Milutinov a gestire 3 falli sul groppone. Come lo attacca l’Italia? Isolamenti dalla punta con Fontecchio, Tonut e Spissu, penetrazione dritto per dritto verso il ferro e la coppia Ricci-Melli sullo stesso lato a stringere le maglie difensive in un fazzoletto. Le lacune nel creare scarichi dove le spaziature non lo permettono non è esattamente la qualità migliore degli esterni azzurri, ma c’è modo e modo di gestire gli isolamenti: muovere Milutinov, chiaramente più contenitivo del solito nel tenere i piccoli ma anche Melli dal palleggio, esclusivamente lungo l’asse Nord-Sud e non lateralmente, tramite consegnati o blocchi portati dopo un ribaltamento, è sintomo di poca lucidità da parte di panchina e giocatori in campo. Non si attirano aiuti perché i difensori sono già in area, non si tiene impegnato il lato debole, si facilita il compito di copertura della Serbia.
- Sul 60-44 ecco il primo aggiustamento radicale dei quintetti di Pozzecco: insieme a Pajola ci sono contemporaneamente in campo Datome, Fontecchio, Severini e Melli. Il palleggiatore che ha saputo resistere meglio alla pressione sulla palla dei serbi e, in rapporto alle dimensioni, i migliori tiratori dell’Italia. Lo scopo? Garantire la massima pericolosità dall’arco, punire eventuali closeout in ritardo e costringere tutti i difensori serbi, Milutinov o Petrusev compresi, a seguire lungo il perimetro l’attacco 5-Out azzurro.
- Pull up da 3 di Fontecchio, floater di Fontecchio, entrata a sinistra conclusa con l’appoggio di destro di Fontecchio. Ecco il ketchup che inizia finalmente a uscire. I 3’ di apparizione divina sotto forma di Gigi Datome e il quarto quarto di Simone Fontecchio sono oggettivamente poco analizzabile e spiegabili se non con la massima “carpe diem”. Non è un attacco lucido, quello dell’Italia: dal 64-63 l’Italbasket ha nelle mani 6 possessi con cui tornare in vantaggio per la prima volta da inizio secondo quarto. I primi due sono iniziative personali di Ricci, il quarto è un fadeaway di Melli a un paio di metri dal canestro senza nessun serbo in grado di contestare un eventuale appoggio. Solo al sesto tentativo l’Italia riesce ad andare dal suo leader, e da quel momento non si guarda più indietro.
- Simone Fontecchio è isolato, con l’intero quarto di campo a disposizione per l’1vs1 con Ognjen Dobric. Per tre volte Fontecchio rinnega le scelte del primo quarto e si prende il tiro. Nel primo quarto non avrebbe dovuto prenderli e non li avrebbe segnati. Nel quarto quarto, quando il ketchup non ha intenzione di stare nella bottiglietta ed esonda dopo settimane in cui il collo della bottiglia era ostruito, li deve prendere perché sa di non poter non segnarli.