Evidentemente di basket siamo troppo intrisi. Noi ne facciamo sempre un paradosso: il particolare che contiene il generale. E al basket riportiamo spesso ogni cosa, ogni seppur vaga e lontana riflessione.
Ad esempio. Ieri mattina, sfogliando la rassegna stampa, ci ha colpito il titolo di apertura di un giornale (?) sulle elezioni del Presidente americano: “Presidente nell’angolo – La vice mulatta ha già rubato la scena a Biden”.
Tralasciando le pur palesi tracce di alcuni “…ismi”, noi per prima cosa abbiamo pensato?
Che è una storia vecchia, seppur in passato molto più veniale, meno volgare, quella di sminuire per denigrare… Anche se, a dire il vero, in passato c’era chi era in grado di liquidare…
E’ esattamente come quando – siamo subito andati al basket, come esempio – molti pensavano e alcuni di noi lo scrivevano anche: “Eh… ma non è Dan Peterson… Concretamente è Franco Casalini il vero allenatore dell’Olimpia Milano”. Forse tratti in inganno dal fatto che, durante gli allenamenti, mentre Franchino si sgolava e sbraitava in mezzo al campo, il piccolo grande Dan se ne stava appoggiato al castello di un canestro ad osservare…
Come finì la storia? Quasi immediatamente, e definitivamente, la volta che coach Peterson si presentò in sala stampa: “Well… Ho sentito… Allora una cosa dovete ammetterla: sono il più bravo a scegliermi il collaboratore… Ok?”.
Punto e a capo.
Tutto questo in premessa, semplicemente per dire che il basket ce lo abbiamo nel sangue e non solo nella testa, e che a noi manca, e mancherebbe, assai più che ai molti che si stracciano le vesti per tutto e il contrario di tutto.
A noi interessa semplicemente lo stato dell’opera, e le proposte finalizzate ad uscire dalla scomoda trincea dove ci ha costretto un nemico invisibile. Ci interessa soltanto discutere e capire quello che si può, o si potrebbe, fare.
Le (uniche) vere proposte
Al momento dalle voci di Ettore Messina e Carlo Recalcati sono venute le uniche proposte disponibili, dalle “Autorità” poco più di niente.
Orbene, cosa abbiamo sul tavolo per cercare di salvare il campionato?
Tentando il sincretismo tra le loro due posizioni, la sintesi che ne esce è la seguente. Sommariamente: abolizione delle retrocessioni. Stagione regolare di un paio di mesi, con classifica a percentuale di vittorie (dunque, senza dover necessariamente giocare tutti contro tutti, andata e ritorno), ipotizzando la conclusione ai primi di febbraio. A seguire, tutte le 16 squadre ai playoff con gara secca, non certo perfetto ma arrapante. Entro fine febbraio tutto finito e spazio alle squadre che disputano le Coppe europee. Se ancora ci saranno Coppe europee da disputare. Giusto? Sbagliato? E’ l’unica piattaforma base sulla quale ragionare. Correggere? Certo. Ma ragionarci sopra. E’ l’essenziale.
E le 32 squadre di serie A2, poverette, senza promozione? Intanto bisognerà pur cogliere l’occasione per dire che 32 in A2 sono troppe. Con tutti i ragionamenti conseguenti su professionismo, o meno. Ma poi, chi lo dice senza promozioni? In un frangente straordinario e transitorio per un anno, quello venturo, la serie A potrebbero eccezionalmente tornare a 18 squadre e successivamente, nel corso di due stagioni, riproporsi nella dimensione delle 16 squadre. Che bastano. La parola chiave è “transitorio”, che significa riconoscere l’eccezionalità del momento
… Scudetto ma non retrocessione, che è come dire conserviamo la gioia (anche se per una sola squadra) e togliamo l’angoscia. Neutralizzare le retrocessioni significa togliere la tentazione di fare il passo più lungo della gamba, la cosa che innesca l’effetto domino dell’indebitamento. Se non incassi, l’unica strada è quella di ridurre le spese. Così magari, tanto per dire, vero Fortitudo e Brescia? e tanto per non fare nomi, non si penserà ad esonerare l’allenatore, con il rischio, oggettivo, che il campionato sia costretto a fermarsi, ed essere costretti a pagarne due, di allenatori. Oppure, senza retrocessioni, e sempre magari, si potrebbe rischiare maggiormente sulla crescita di qualche giovanotto, dando maggiori opportunità e non soltanto belle speranze.
Si potrà finire il campionato? Onestamente. Lo sa soltanto il virus. Che manco si vede, figuriamoci se parla. Però messaggi espliciti, purtroppo, ne manda, in rapida successione, come nell’ultimo caso del focolaio di Milano.
A noi dovrebbe soltanto toccare il compito di cercare di capire. Cosa? Che, a questo punto, non può più essere un campionato normale, e dovremmo soltanto concentrarci sullo sforzo di guardare se, e cosa, si può fare. Per riemergere in futuro… Quando finalmente si riprenderà. In una situazione di normalità. Perché di sicuro, prima o poi, si riprenderà e quello che conta, per allora, sarà semplicemente esserci, e non essere nel frattempo morti di fame e di sete.