Nel nostro canale Youtube e Podcast di Backdoor One to One abbiamo già pubblicato l’intervista esclusiva fatta a Shabazz Napier. Ora vi proponiamo, per chi non l’avesse vista o sentita, la versione testuale completa.
Ci risulta che la tua compagna abbia origini italiane. Confermi?
Confermo. Non saprei dirti di che zone precisamente, ma parte della sua famiglia è italiana!
Qual è il tatuaggio più importante tra quelli che hai sul tuo corpo?
Faccio fatica a dirti quale sia più fondamentale per me. Ognuno di essi ha un significato notevole per la mia storia, non posso decidere tra uno o tra un altro. Sono stati tutti ugualmente sentiti nel momento in cui ho deciso di farli, che fossero 10 o 4 anni fa.
Hai iniziato a giocare a pallacanestro a Washington Park. Possiamo definirlo il tuo posto sicuro, il tuo rifugio come giocatore e come uomo?
Definirlo “sicuro” non è forse l’aggettivo più azzeccato (ride, ndr)… Era il campo più vicino a casa mia. Diciamo che ho iniziato a giocare una pallacanestro organizzata, in palestre e non solo al campetto, negli anni di YMCA. Antonio Richards organizzava un programma cestistico per giovani, sia maschi che femmine. Avevo 5 anni, me lo ricordo come fosse ieri.
Sappiamo che il tuo primo incontro con coach Calhoun è stato in occasione di una tua partita nel torneo AAU, dove lui era venuto a vederti giocare. È vero che nel riscaldamento hai tirato un airball per la tensione?
Eh già. L’avevo visto entrare in palestra e non sono riuscito a pensare ad altro se non come impressionarlo. Lo stress ha giocato un brutto scherzo, però per fortuna è andato tutto per il verso giusto!
A UConn hai vinto 2 titoli NCAA. Che differenze ci sono state tra le due cavalcate vincenti?
Nel primo ero molto più giovane. Giocavo di meno, avevo compiti più limitati e difensivi. Scherzando, dico spesso che me l’hanno fatto vincere, come se l’avessi ricevuto in dono, e non che l’ho vinto io! Facevo parte di un gruppo con giocatori più esperti e di talento: Kemba Walker, Jeremy Lamb, Alex Oriakhi in grado di gestire un minutaggio e uno Usage molto consistenti in ogni partita. In fin dei conti ero un freshman, è giusto che fosse così.