Milwaukee Bucks – LA Clippers, 3:43 alla sirena finale. Punteggio: 96-100. Donte DiVincenzo sbaglia entrambi i tiri liberi per i padroni di casa. Niente di così strano. Passa circa un minuto e Antetokounmpo, su assist di Middleton, dimezza lo svantaggio subendo il fallo da Nic Batum. Viaggio in lunetta e -1 Bucks. Infrazione di 24 secondi dei Clippers originata da una difesa asfissiante sui portatori di palla losangeleni. Rubata di DJ Augustin, onesto mestierante ma non esattamente coi crismi del playmaker dei vostri sogni. L’artigianale meccanica stavolta non tradisce Giannis: 2/2 ai liberi e sorpasso Milwaukee. DiVincenzo e Connaughton (white men can jump) catturano fondamentali rimbalzi difensivi sugli errori al tiro di PG13, sopperendo alla mancanza di un centro di ruolo alla Brook Lopez che, nei momenti clutch della partita, si trova spesso e volentieri a sventolare asciugamani in panchina perché… è Brook Lopez. E alla fine arriva lei. La giocata da top 10. Una perfetta circolazione di palla consente a Giannis di inchiodare al ferro, sopra le teste esterrefatte della difesa Clips, la schiacciata della staffa con una forza sovrumana. Tentativo di Leonard da 3 punti: ferro appena scheggiato causa francobollamento di Holi… no, scusate. DJ Augustin. Game, set and match.
NBA e 2021. Due entità in camaleontica e costante evoluzione, soggette a continue variabili e modifiche. Dove qualsiasi giudizio è da considerarsi legittimo solo per un brevissimo lasso di tempo. Ma, volenti o nolenti, interpretare i segnali che ci mostrano le notti insonne dei parquet americani mantiene vivo il fuoco della nostra passione. Mostrare a cielo aperto le crepe di un sistema ben congegnato e collaudato significa evocarne il fallimento. Esporre a chiare lettere i suoi più grandi difetti non fa altro che sottolinearne le vulnerabilità. Tentare di cacciare la polvere di debolezza e delicatezza sotto il tappeto non è proponibile. Non più. Quando però si riesce a rendere sintonica l’instabilità con l’ambiente circostante, essa consente addirittura di aprire varchi insperati in quadro di sofferenza e difficoltà. Immaginandoci la offseason successiva all’ennesima cocente eliminazione ai Playoff per mano dei sorprendenti Miami Heat, probabilmente i pensieri di coach Mike Budenholzer, Giannis Antetokounmpo e di tutti i Milwaukee Bucks dovevano ruotare attorno al tema centrale della fragilità. Com’è possibile vivere con essa? Come rendere punti di forza i nostri più espliciti limiti? Essendo ancora troppo presto per valutare il carattere definitivo delle risposte, per ora possiamo accontentarci dei flash che il parquet ci regala da fine dicembre a questa parte. E, quando a calcare i 15×28 sono “the Greak Freak” e soci, l’invito è sedersi comodi e godere dello spettacolo.\
IN FOR A PENNY
Nel 1517 Leone X decide di limitare a 30 il numero di nuove possibili nomine cardinalizie. Completato l’iter procedurale, però, si accorge di aver trascurato la promessa fatta ad un amico fiorentino, consentendo all’elezione del trentunesimo cardinale. La costante sensazione che si vive guardando giocare Milwaukee è da anni sempre la stessa: aver fatto trenta, non aver ancora fatto trentuno. I Bucks sembrano destinati, data la conformazione tattica e salariale della squadra, a non poter mutare più di tanto la propria pelle. Un Boa Constrictor in Regular Season, dove le avversarie vengono stritolate dall’efficacia e dallo strapotere fisico di Giannis; un orbettino di montagna ai Playoff, dove i limiti di talento e versatilità sia della stella greca che del supporting cast vengono a galla troppo facilmente. Tuttavia, l’uscita prematura dalla bolla di Orlando sembra aver segnato un punto di svolta decisivo nella storia recente della franchigia del Wisconsin.
Le voci di una possibile cacciata di Mike Budenholzer si sono rincorse nelle settimane immediatamente successive: l’impressione è che Bud sia a capo di uno staff incapace di apporre grandi correttivi in corso d’opera ad un sistema offensivo e difensivo che, come confermato dai numeri, veleggia col pilota automatico nella stagione regolare ma che, di fronte agli adjustments ricorrenti di una serie al meglio delle sette gare, risulta facilmente arginabile. La scelta della dirigenza? Categorica. Nonostante Nurse e Spoelstra abbiano mostrato negli ultimi due anni di possedere armi più versatili nel loro arsenale “estivo”, il contratto quadriennale firmato nel 2018 merita ancora fiducia. Nonostante #FireBud sia ricorrente tra i trend topic dei dibattiti social attorno a Milwaukee, accusata di essere poco spettacolare e cool per l’NBA contemporanea. Il tacito invito del GM Jon Horst deve essere risuonato forte e chiaro tra le mura del Fiserv Forum: qualche vittoria in meno tra gennaio e febbraio, qualche referto rosa in più quando la palla peserà e scotterà maggiormente (in tempo di COVID-19, dire se e come si faranno i Playoff è un azzardo immenso, perdonateci). Per fare questo, l’organigramma Bucks ha organizzato mosse inconsuete per una società che sembrava essersi adagiata nel limbo di un mercato troppo small per attirare l’attenzione delle grandi stelle in free agency ma potenzialmente troppo forte per non tentare l’affondo decisivo.