Sembra passata una vita, alcuni degli appassionati di oggi nemmeno sanno cosa abbiano voluto dire i Seattle Supersonics per la storia NBA, oppure hanno un ricordo sbiadito, per non dire in bianco e nero, di quello che sono stati Gary Payton e Shawn Kemp solo per nominare gli ultimi rappresentanti in ordine di tempo.
Eppure la cultura del basket a Seattle è ancora radicata, con giocatori che mai dimenticano le loro origini come Jamal Crawford, Isaiah Thomas o Brandon Roy per andare qualche anno più indietro.
La città, dopo aver visto il primo Kevin Durant far rinascere dalle ceneri una franchigia che stava cercando di ricostruire qualcosa, ha dovuto subire la sua dipartita verso Oklahoma City assieme a tutta la franchigia per crearne un’altra che s’integrasse comunque alla perfezione con la città di appartenenza, ma non potesse avere la storia, il blasone, il fascino e anche la colonna sonora di Seattle.
DURANT E L’AMORE PER SEATTLE
È stato proprio Kevin Durant a volersi schierare apertamente a favore della città che lo ha accolto in NBA e quella che ancora oggi sogna di poter ritrovare una franchigia dopo aver visto trionfare nell’ultima finale le Storm di Sue Bird e Breanna Stewart. Ed è proprio la stella dei Warriors a dire:
Tutti conoscono la cultura sportiva di Seattle, nessuno può ignorare questo e la loro passione per la pallacanestro. Neanche l’NBA può far finta di nulla ed è evidente che debba fare di tutto per riportare una franchigia in questa città.
Alla presentazione dei quintetti KD viene illuminato e sulle sue spalle c’è la maglia di Shawn Kemp, che è impattante molto più delle sue parole pre partita. È uno statement forte di un giocatore simbolo che probabilmente ha espresso apertamente quello che tante altre stelle avrebbero voluto fare:
Dopo il riposino pre partita, mi sono svegliato nervosissimo come non mi era mai capitato, soprattutto per una partita di preseason. L’idea di usare la maglia di Kemp mi è venuta qualche settimana fa, ma poi quando è arrivato il momento di farlo l’emozione è stata tanta, anche se la causa era molto sentita da parte mia.
IL RITORNO A SEATTLE È ANCORA LONTANO
È stato tutto molto bello e toccante, ma la realtà dei fatti ci dice ancora che la Key Arena, la città di Seattle e l’NBA non sono ancora pronti per un nuovo matrimonio. Da qui partirà però un progetto per la nuova arena che soddisfi i criteri della lega e possa essere la casa di una squadra NBA che porti guadagni senza toccare i soldi pubblici. Ora sul tavolo ci sono due proposte: quella di ammodernare la Key Arena con diverse difficoltà e l’idea che possa comunque non bastare per dare una casa a una franchigia, oppure quella di Chris Hansen di costruire ex novo un palazzetto nella zona di quelli di football e baseball che rientri in tutte le linee guida NBA. Questo farebbe passare da zero a due le strutture buone per sport, concerti ecc. nella città, con il rischio però di vedere lo scarso interesse dell’NBA nel tornare in una città come Seattle. Non essendoci idea di espansione dalle trenta squadre e con la sempre presente idea di mettere un paletto anche all’estero (vedi Messico), il sogno di Seattle potrebbe rimanere tale ancora per un pò. È stata una serata di grande ricordo e appartenenza per una causa che però dovrà ancora pazientare molto prima di riabbracciare i nuovi Sonics.