Una nuova formula che per forza di cose non può accontentare tutti, i dubbi emersi tramite i Blazers, le rivolte interrazziali che minano l’animo dei giocatori di colore e una pandemia che nelle Americhe è ancora al collasso: sono questi i punti focali che fanno aumentare di giorno in giorno il fronte degli scontenti ed incerti a riprendere la tornata NBA, col modulo a 22 squadre proposto da Adam Silver.
La salute prima di tutto
Le scelte dell’associazione giocatori (NBPA), dei 9 membri esecutivi, di un esponente a franchigia e del presidente Chris Paul cominciano a perdere consensi, anche in relazione alla recente moltiplicazione dei casi da Covid, che pongono ad oggi il numero di perplessi in costante progressione, e l’appello di maggio per completare l’anno agonistico verso LeBron, Durant, Giannis, Lillard, Westbrook, Curry e Leonard, appare solo un lontano ricordo. Leggendo il sito Bleacher Report sono difatti numerosi i giocatori, soprattutto di gran nome, che si sentirebbero poco protetti dai protocolli finora messi in attuazione nel periodo del playoff “allargato”. Inoltre, al rischio contagio e diffusione che persino un solo convocato rischierebbe di propagare, vanno addizionati problemi di caratura deontologica, che il piegarsi al Dio quattrino durante un’epidemia globale farebbero emergere.
Le insurrezioni del popolo nero pesano come un macigno
Per l’insider di Yahoo Sport Chris Haynes anche le lotte di Minneapolis successive alla morte di George Floyd costituiscono un disagio oltretutto etico e morale per le stelle stars and stripes, in gran parte di pelle nera, per i quali adesso il campus/quarantena di massimo tre mesi può essere visto dai protestanti per l’appunto come una sorta di schiavitù subìta dal potere economico in seno alla lega, anche per l’eventuale assenza degli owner, che costringerebbe tutti gli interpreti a lasciare affetti e famiglia ed abbandonare le marce di contestazione. I vicepresidenti NBPA Malcolm Brogdon e Kyrie Irving hanno pochissimi giorni fa rincarato la dose.
Il play di Indiana, nonché persona stimata e autorevole voce all’interno del mainstream a palla a spicchi, non si è tirato indietro a commentare nel podcast di JJ Redick l’eventualità che a luglio ci siano molteplici rinunce; lo stesso ha fatto l’ex Cavs, eccentrico one man show se ce ne è uno, che in base ai racconti di The Athletic ha riunito in video chiamata quasi 100 interpreti NBA e WNBA, per stabilire quanto sia saggio in questa condizione di disordine sociale riprendere l’attività e chiudere il torneo. Così il ferreo fronte del no in questo momento, giustificato esclusivamente per dare un segnale contro l’oppressione razziale, vede uniti al frontman dei Nets anche Donovan Mitchell, Dwight Howard, Carmelo Anthony, CJ McCollum – egli in prima linea nel niet pure per motivi tecnici che sfavorirebbero il suo team – e fresco di giornata John Wall!
E ora parola al Prescelto
Ovvio, ai dissidenti autoproclamati da Irving, che ha comunque dato il suo beneplacito a modificare la propria idea se i vertici della pallacanestro NBA venissero incontro alle loro richieste (in realtà ancora astratte), farà senza dubbio da contraltare un blocco silenzioso di giocatori che vorrebbero proseguire, gente con stipendi meno gonfi delle sopracitate superstar, e che dunque gradirebbe non perdere “gettoni di presenza” e vedersi diminuire il salario. La situazione è in fermento e gli aggiornamenti sono quotidiani; si attende in primis la parola di LeBron James, da sempre deus ex machina decisionale e leader motivazionale sia per bianchi che neri, sostenitore della lotta al cambiamento civile verso uomini e donne di colore, ma al tempo stesso tra i fautori del restart.
Noi malati di basket speriamo si riparta e con tutti gli assi sul parquet, senza alcuna defezione; la risposta più forte ad ogni tipo di ingiustizia e per riprendere la normalità della vita è dare un segnale chiaro e forte, come il termine del campionato NBA può rappresentare. La telenovela, appena all’inizio, si preannuncia intricata e infuocata, per cui siamo sicuri di ragguagliarvi ancora da qui a breve.