NBA: Ja Morant, goduria ad alta quota

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Memphis Grizzlies

Dovreste averlo capito ormai. Se avete imparato un minimo a conoscerci, quelli poco ortodossi ci scuotono. E Ja Morant è, inevitabilmente, uno di loro. Smuovono qualcosa di inspiegabile e inconoscibile dentro di noi. Una pulsione irrazionale, che cerchiamo di reprimere perché spaventose. Abbiamo paura che rivelino qualcosa di diverso dall’immagine pulita, linda, elegante che cerchiamo di consegnare a tutti coloro che ci girano intorno. Una sferzata di energia che riporta in superficie i nostri istinti più animaleschi. Che ci ricorda come, in ogni caso, vivere la propria vita valga pienamente la pena. Perché solo un’esistenza vissuta realmente, e non sopravvissuta da lontano, è in grado di farci assaporare anche i suoi bocconi più amari. Quelli poco ortodossi faticano sempre più ad emergere, offuscati da un mondo dove lo standard e l’omologazione giganteggiano sempre più. Ma quando emergono, lo fanno nella maniera più dirompente possibile. In uno scenario post pandemico, il fenomeno traboccante dalla bocca di tutti gli psicologi mondiali è l’illanguidimento. Una dose settimanale di Temetrius Jamel Morant sparata direttamente in vena è la miglior medicina. Non la più ortodossa. Neanche quella consigliata dai medici. Semplicemente, la migliore.

Dai un’occhiata alle statistiche della sua carriera e i miglioramenti notevoli sono ridotti al minimo. Non è uno di quelli che ha migliorato esponenzialmente le percentuali al tiro. Non è uno che, sviluppando il fisico, ha migliorato le capacità in difesa. Non è nemmeno il giocatore che, entrando in NBA, ha saputo specializzarsi in un particolare ambito del Gioco per competere ai massimi livelli. Ja tira tanto. Troppo. Troppo, se si valuta l’efficienza non trascendentale delle sue conclusioni. Troppo, se si analizza la meccanica tutt’altro che solida del suo jumper dalla media e lunga distanza. Troppo, se si considerano le sue sottovalutatissime doti di playmaking rispetto a quelle osannate, ma spesso travisate, di finalizzatore. Eppure, Ja l’ha sempre detto.

Io non ho paura di nessuno. Lo diceva a mamma Jamie, preoccupata dai ripetuti contatti che l’esile Ja subiva contro i corpi dei ragazzi più grandi durante i primi anni di high school in South Carolina. Non ho paura del tuo giudizio. Lo diceva a papà Tee, compagno di college di Ray “Jesus Shuttlesworth” Allen, quando gli consigliava di attendere la chiamata di un college rinomato piuttosto che assecondare le voci di chi, in quelle gambe tanto affusolate quanto esplosive, riusciva a scorgere i crismi della futura stella. Non ho paura di voi. Lo diceva ai Jazz e agli insultanti Mormoni sugli spalti al termine delle prime due gare playoff della sua carriera.

FROM ZERO TO HERO

Dal nulla. Letteralmente dal nulla. Solo una chiamata da South Carolina, sentitasi quasi in dovere, data la vicinanza del campus a Sumter, di telefonare a casa Morant per saperne di più sulle intenzioni di Ja. Il tentativo, però, è tutto tranne che convincente. Dal nulla, come l’equivalente di un’iniezione di adrenalina in seguito alla visione di qualche giocata del ragazzo, apparentemente troppo indisciplinato e indisciplinabile tatticamente per compensare un telaio tanto potenziale quanto grezzo, grezzissimo. Alla fine, si convince anche il vecchio Tee. Si va a Murray State. Non un college di Division I, bensì una cosiddetta mid major. Non garantisce programmi milionari di costruzione dell’uomo e dell’atleta, ma assicura una protezione più ovattata del futuro gioiello dell’argenteria di casa. A James Kane, assistente del coach Matt McMahon, sono bastati cinque minuti di un 3vs3 successivo a una partita tra giovani studenti del South Carolina per innamorarsi di Ja. Attardatosi per uno spuntino ai limiti della palestra, Kane rimane rapito dalla sinuosità dei movimenti e dai lampi illuminanti scagliati dai polpastrelli del ragazzo. Il coach riesce a convincere il board collegiale a offrire una borsa di studio a Morant. Cosa dicono i risultati dopo due anni di esperienza nella piccola università del Kentucky? Ja è considerato da tutti gli scout, che non lo avevano mai prima ritenuto all’altezza, il primo esponente di una mid major ad essere selezionato tra le prime 5 scelte al successivo Draft. Ma, parafrasando il detto, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

Con chi si è scontrato finora? Con le minuscole università dell’Ohio? Capaci tutti a emergere in quel contesto. Vediamo adesso al Torneo, contro le università quelle vere, cosa saprà fare. La data sarà una di quelle che resteranno negli annali della piccola Murray State. Il giorno dello scontro al primo turno della March Madness contro Marquette, siamo sicuri che a Ja non stiano tremando le gambe. Anzi. Se si muovono, è per scaldare i propulsori che si ritrova al posto dei polpacci. La dimostrazione di forza e potenza è assurda. Non dovrebbe essere possibile. Guardalo: è troppo magro. Rischia di farsi veramente male scontrandosi con atleti che potrebbero essere la sua custodia. Per non parlare di quando atterra dopo un volo: il terrore che il ricadere su una gamba sola dopo un’altra evoluzione acrobatica possa compromettere la carriera di uno degli atleti più elettrizzanti dell’NBA contemporanea anima costantemente il cuore di chi, come noi, per quelli poco ortodossi delirano. 17 punti. 16 assist. 11 rimbalzi. Una schiacciata paurosa, anch’essa spuntata dal nulla, alle spalle della difesa. Vittoria 83-64 e detrattori ammutoliti. Florida State al turno successivo è ostacolo insormontabile. Ma adesso tutti, ma proprio tutti, sono saliti sul carro trainato dal magrolino. Che non sappiamo quanta forza abbia nei muscoli, ma il peso delle responsabilità, sulle spalle, non ha paura di sostenerlo.

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