NBA: Lillard back to the future

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Il passo che separa Damian Lillard da un tanto agognato successo è lo stesso che troviamo tra Portland ed una maledetta soddisfazione. In Oregon è terra di rose, di purezza e di buone intenzioni, ma si sa bene che per le rose ci vuole tempo e cura, per la purezza ci vuole pazienza e che le buone intenzioni non ti danno successi. Dopo il 4-0 subito nel 2019, quando Portland era stata bastonata dai Warriors alle finali di Conference, si pensava ad un repulisti generale. Lillard aveva predicato calma, aveva stretto l’ambiente e alzato l’asticella. Quella squadra che aveva eliminato Denver in 7 poteva e doveva essere migliorata, e ricostruire intorno al nativo di Oakland era un gran primo passo. Dopo quella gara e nel successivo periodo, Dame ha però l’ardire di dichiarare di voler vincere solo col rossonero indosso, una promessa ad oggi pesante.

Chris Haynes di Yahoo Sport può essere individuato non solo un real insider dei Trail Blazers, ma anche e soprattutto la diretta espressione della voce di Lillard. Lo stesso numero 0 ha dovuto più volte smentire, per non dire schierarsi contro, alcuni articoli che – anche se di fatto riflettevano il suo pensiero – esprimevano giudizi contro la squadra e la dirigenza. Just his opinion, è stata più volte la sentenza, stavolta le cose si fanno diverse, perchè non si viene da una finale di conference persa, perchè la squadra non è all’altezza e non lo sarà nell’immediato futuro. Eppure con Lillard in cabina di regia da 9 anni, sempre sulla soglia – mai varcata – dell’mvp, Portland ha centrato i playoff in 7 occasioni e da protagonista. Quest’anno invece viene sculacciata e in modo energico dai Denver Nuggets privi di Jamal Murray e di Will Barton, play e guardia titolare. A Lillard non è andata giù.

Ovvio che in situazioni esplosive come questa a pagare è il coach, con Stotts che ha dovuto far fagotto dopo aver seminato e anche bene in un gruppo che ha pagato e non poco alcuni pesanti infortuni. E’ qui che Chris Haynes, nel suo recente pezzo per Yahoo Sport, ha col suo eccelso fiuto giornalistico messo il becco, andando a sottolineare una frattura, forse insanabile, fra Lillard e Portland, intesa sia come città, sia come franchigia, col dito puntato contro Neil Olshey, GM e Direttore delle operazioni. Sarà ancora una volta “solo” il pensiero del giornalista, o forse in questo caso il pensiero di Lillard è espresso in maniera meno che velata?

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Fonte: profilo instagram @trailblazers

KIDD OR BILLUPS? WRONG CHOICE

Olshey si è dato da fare immediatamente la sanguinosa sconfitta per cercare un coach che desse garanzie da campo più immediate di quelle che Stotts aveva garantito. E chi potrebbe interpellare se non la stella che ha giurato amore eterno alla franchigia? Primo turning point: davvero una stella del genere può essere interpellata per una scelta così importante e, cosa ancor più importante, se ciò avviene, è conveniente sbandierarlo ai quattro venti? Secondo piano non meno importante: se un parere viene espresso, e poi rifiutato dalla società, per i più disparati motivi che esistano, perchè a subirne le conseguenze deve essere solo il giocatore e, nel nostro caso, Lillard? C’è una puzza di fumo incredibile.

La questione è presto detta. Interpellato sull’argomento, con una lista di nomi, Dame, sceglie Jason Kidd, campione anche lui venuto fuori da Oakland, che ha già mostrato le sue doti in più stagioni NBA. La notizia esce e a Portland scatta la protesta, perchè Kidd ha a suo carico un’accusa di violenza privata e/o domestica sul suo casellario. Inaccettabile per una comunità che ci tiene all’etica, di qui la palla torna di nuovo a Lillard che spara la seconda tripla: Chauncey Billups, magari con meno esperienza, ma anche lui play di giostra e sostanza. Anche qui tuoni e fulmini, perchè a carico del giocatore campione con Detroit, nel suo passato remoto, c’è un patteggiamento in una causa civile per una violenza sessuale il cui procedimento penale non è giunto neanche al tribunale. E si parla di eventi risalenti nel tempo, di quando era un rookie a Boston e frequentava con Ron Mercer, quella che era la casa – o per meglio dire la luxury suite – di Antoine Walker. Anche qui la notizia ha generato un marasma generale in una comunità più puritana rispetto al modello americano. Stavolta la società ha glissato e ha confermato Billups nel suo ruolo.

Ovvio che tutte queste decisioni sono state ascritte non alla franchigia bensì a Lillard, reo non solo di aver scelto un pregiudicato, per dirla alla spicciola, ma anche di aver deliberatamente ignorato gli altri nomi sul foglio delle possibilità, ossia quelli di Mike D’Antoni e Becky Hammon, che a dire il vero non è che avrebbero suscitato di più il fervore della platea. Ancor di più, però, non è tanto la scelta del chi, quanto il contesto del personaggio. Non basti aver scelto un conterraneo, Lillard paga il fatto di aver scelto dei soggetti che avevano precedenti per reati sentiti dalla comunità di Portland. E piccata, via twitter, è arrivata la controrisposta del numero 0, che su fatti di quando lui era giovanissimo, relativi a Kidd e Billups, neanche sapeva. E la frattura è diventata insanabile, almeno questo è quello che pensa Haynes.

Perchè passi il fatto che i Blazers non vincono e – nel prossimo futuro e salvo miracoli – non vinceranno, ma diventare il capro espiatorio in un momento della carriera in cui bisogna far fruttare il lavoro della vita, è cosa su cui riflettere. Vero che Lillard ha altri 4 anni di contratto più uno in player option, ma se fosse scontento, per Portland si farebbe davvero fatica a costruire una squadra di alto profilo col solo McCollum a referto, tra l’altro reduce da infortunio. E le parole di Haynes su Lillard, che di fatto davvero sembrano riprodurne il pensiero, hanno di fatto lanciato una corsa al numero 0 che si inserisce sulla falsariga delle dichiarazioni anche di Nurkic post Nuggets, ossia che serve qualcosa di diverso a questa squadra. Di sicuro cedendo il numero 0, in Oregon arriverebbe una ventata di aria fresca e anche una buona razione di asset per puntellare il nucleo squadra, ma quella promessa di restare e di provare a vincere, ancora una volta, potrebbe fare la differenza. Quale la sorte? C’è attesa sul da farsi, ma intanto, non c’è del marcio solo in Danimarca.

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