Un documentario d’inchiesta ben fatto, quello di Untold, nuova serie di Netflix che analizza i retroscena di alcuni eventi/personaggi sportivi, partendo proprio dal Malice at the Palace. La celebre rissa che avvenne il 19 novembre del 2004 nella sfida tra Detroit e Indiana e che vide coinvolti tifosi e giocatori. Quello che la serie affronta non è solo la lotta, il primo evento o le conseguenze, quanto invece un tema spesso a margine della NBA e della società: l’importanza della salute mentale e le “dovute apparenze”.
Cosa avvenne? Al tempo chi scrive era un neofita o quasi del mondo NBA ed il fatto che le immagini reali del broadasting siano state bannate dai circuiti della lega di David Stern, quindi molte delle mie testimonianze erano e sono legate a quello che i media diffusero. Anche la stessa immagine dei “bad boys” di Indiana era un eco di quegli anni e del fu Ron Artest, oggi Metta Wold Peace. Eppure, mentre le immagini della puntata scorrono, emerge in maniera evidente che – come spesso i media fanno – i problemi sottesi a quell’evento erano altri. E la negligenza verso la salute mentale dei giocatori, che prima di tutto sono uomini e poi atleti, è un punto focale a cui poi fa da contraltare l’esigenza di una lega di salvare la faccia di fronte ai propri tifosi.
Ecco che allora le descrizioni dell’evento da parte di ei fu Ron Artest, Jermaine O’Neal e Stephen Jackson, unite alla voce di Reggie Miller, ricostruiscono una dinamica non solo sostanzialmente diversa dei fatti, confermata dal processo penale ma non da quello sportivo, facendo emergere tensione, pressione e rabbia repressa in una lega dove in fondo si è tutti amici, ma se in un clima acceso ci si intromette un terzo estraneo il rischio di implosione è alto. Il problema non è così datato per la NBA, che oggi ha applicato molti ban a vita per alcuni tifosi intemperanti, cosa che comunque non ha scoraggiato insulti razzisti e sputi a giocatori più o meno importanti, fra tutti Russell Westbrook e James Harden. E forse, proprio l’aver sotterrato quell’evento è stato decisivo per il non estirpare l’erba cattiva alla sua radice.
Senza voler prendere le parti, come fa il documentario, l’alterco sarebbe nato a seguito di un fallo pesante di Artest (incoraggiato da Tinsley) su Ben Wallace, da cui nasce una rissa tra i due, dopo la quale l’attuale Metta World Peace risponde stendendosi sui tabelloni dei segnapunti. Per sua ammissione, il giocatore passato da Cantù stava provando una tecnica calmante del “contare fino a 5” perchè all’epoca dei fatti era in terapia presso una psichiatra, sebbene i suoi compagni ne sapessero poco o nulla. La scintilla che genera l’imponderabile è una lattina di birra che un tale – con cappellino, poi identificato dalla procura di Oakland – getta dagli spalti contro Artest, che scatta in tribuna per finirlo, finendo poi per accanirsi non contro il vero aggressore.
L’intervento di Jermaine O’Neal, di Stephen Jackson, il pugno al tifoso al rientro in campo di Artest e il parapiglia per l’uscita dal campo di Indiana con sedie volanti e popcorn e birre sugli atleti, passa alla storia. Così come le condanne sportive, decretate a soli 48 ore dai fatti da Stern stesso medesimo, 1 voto contro zero, citando le sue stesse parole. Una dinamica che doveva essere fermata per evitare che il pubblico si allontanasse dalle arene.
I fattori che avevano portato a quell’evento erano da ricercarsi non solo nella palese rivalità tra Pacers e Pistons, che al tempo si contendevano la Eastern Conference e già si erano affrontate l’anno prima nella finale orientale. A far accendere la miccia era una partita, di friday night, in cui:
- Vi erano solo tre agenti a tutela dell’ordine pubblico con oltre 20.000 tra abbonati e paganti.
- La massiccia dose di alcolici che, dato il sabato festivo, spingeva i tifosi a bere senza preoccuparsi del domani.
- La straripante prova di Artest e Jackson che aveva portato i Pacers, pur privi di Miller a un sonoro +17 a 3′ dalla fine.
- E direttamente dal punto 3 discendeva che molti affezionati dei settori vicini al campo avevano abbandonato il parquet date le proporzioni della sconfitta, facendo sì che si avvicinassero al parquet persone con biglietti molto più economici e di più modesta estrazione.
Quello che ne derivò fu la disgregazione d’Indiana, che perse mentalmente O’Neal, mai rientrato sui suoi livelli, e Jackson per una 30ina di partite, nonchè Artest, squalificato per una stagione e che avrebbe chiesto di essere ceduto. Una scelta, nelle sue parole, da codardo, che neanche il titolo coi Lakers avrebbe potuto riparare. Un evento che neanche la rinascita della NBA negli ultimi anni ha potuto cancellare dalla memoria degli appassionati e che neanche la giustizia penale con le sue sentenze ha saputo cancellare dalla memoria degli appassionati, specie per il tam tam mediatico e per i connotati che furono circoscritti all’epoca.