NBA: i migliori quintetti base degli ultimi 20 anni

1335
quintetti

Con l’eventuale ripresa ancora lontana all’orizzonte, un paio di settimane fa Bleacher Report ha pubblicato la classifica dei migliori 15 quintetti base dell’ultimo ventennio mettendo insieme plus/minus, net rating, titoli vinti e l’opinione dei tifosi, chiamati a raccolta per votare dopo la scrematura iniziale fatta sulla basse delle statistiche sopra elencate. Il risultato è molto interessante, e per renderlo ancora più vario, abbiamo deciso di appare un piccolo asterisco a fianco alla classifica, considerando solo un quintetto per franchigia, evitando così che nella nostra top 5 ci siano starting five della stessa squadra.

San Antonio Spurs 2013/2014

quintetti

ll quintetto dei campioni NBA 2013/14 per la verità è rimasto lo stesso anche per la stagione precedente e quella successiva al titolo vinto contro i Miami Heat per 4-1. A Duncan e Parker si aggiungevano Danny Green, Tiago Splitter e il giovane Kawhi Leonard, con Manu Ginobili ormai stabilmente impiegato da sesto uomo per rompere in due le partite e travolgere le second unit avversarie. Nel triennio appena citato gli Spurs sono stati stabilmente intorno alle 60 vittorie stagioni, con due presenze consecutive alle Finals contro i Big Three di Miami. Va detto che questo quintetto ha giocato relativamente pochi minuti rispetto ai quintetti che troverete più avanti, ma quello che impressionava era l’andare controcorrente del sistema di gioco costruito da coach Popovich: con gli starters in campo San Antonio tentava circa 16 tiri da tre a partita, ben sotto i 26 di media a cui viaggiava l’intera NBA.

Los Angeles Lakers 2000/2001

La seconda versione dei Lakers che un’anno dopo realizzeranno il threepeat iniziava le partite di playoff Bryant, O’Neal, Fisher, Fox e Horace Grant, modificando quindi quello che in regular season era stato il quintetto più utilizzato di tutti, ovvero quello con Harper al posto di Fisher. La postseason di quei Lakers fu leggendaria, chiusa addirittura con un record di 15-1 a fronte dell’unica sconfitta patita in gara 1 delle Finals contro l’MVP di regular season Allen Iverson, che dovette però piegarsi allo strapotere del dynamic-duo Kobe-Shaq, che viaggiava con un net rating di 15.6 grazie ai 29.4 punti, 7.3 rimbalzi e 6.1 assist di Kobe e i 30.4 punti, 15.4 rimbalzi e 2.4 stoppate di Shaq, vincitore per la seconda volta consecutiva del titolo di MVP delle finali.

Cleveland Cavaliers 2015/2016

Poteva rimanere fuori dalla top 5 la squadra che ha battuto in gara 7 di finale sul proprio campo la miglior squadra della storia in termini di regular season? Ovviamente no, e infatti quei Cavs che iniziavano le partite con Love, Irving, Thompson, JR Smith e LeBron James stanno addirittura al terzo posto di questa classifica.
Durante le Finals LeBron ha fatto registrare +11.4 di plus/minus su 100 possessi in più rispetto a quando si è trovato a giocare con altri quintetti, per arrivare fino al clamoroso 28.1 nella mini striscia di tre vittorie consecutive culminate con il titolo, chiudendo così la serie a 29.7 punti, 11.3 rimbalzi e 9 assist di media.
Oltre a LeBron e Kyrie Irving (27.1 punti a partita e il game winner di gara 7), va esaltato l’apporto dato dagli altri tre componenti del quintetto base, partendo dalla difesa sfoderata da Kevin Love su Curry negli ultimi tre capitoli della serie per arrivare agli oltre 10 rimbalzi a gara di Thompson e le oltre due triple realizzate a partita da JR Smith.

Boston Celtics 2007/2008

Dopo le trade per acquisire Ray Allen e Kevin Garnett, i Celtics della stagione 2007/2008 si presentarono ai nastri di partenza della stagione regolare con un quintetto composto dai due nuovi acquisti, Rondo, Perkins e Pierce, chiudendola con un record di 66-16 che valse ovviamente il seed numero 1 nella Lega. Sebbene con più di un rischio corso nei primi turni, i Celtics hanno terminato la postseason alzando il trofeo di campioni NBA che mancava in città da 21 anni grazie a un Pierce in formato MVP che ha potuto beneficiare dello spacing creato dai movimenti senza palla di Allen e dalla svolta difensiva data da Garnett. Dopo il titolo al primo anno con il nuovo nucleo di giocatori, Boston si mantenne comunque a livelli altissimi nei due anni successivi, tornando in finale nel 2009/2010, trascinando i Lakers di Bryant e Gasol a un’epica gara 7 allo Staples Center privi di Perkins, infortunatosi in gara 6.

Golden State Warriors 2017/2018

Sarà forse fin troppo banale, ma gli “Hamptons Five” (come li ha rinominati Draymond Green) degli ultimi Golden State Warriors difficilmente vedranno un altri quintetti base in grado di superarli. Lo starting-five composto da Durant, Curry, Thompson, Green e Iguodala, però, ha visto la luce solo a partire dalla seconda stagione di KD in maglia Warriors: nel 2016/17, infatti, coach Kerr non ha mai iniziato una partita con questi cinque giocatori in campo, preferendo sempre l’assetto più pesante con Pachulia nello spot di centro e facendo partire Iguodala dalla panchina. Dalla stagione successiva, però, la versione evoluta del Death Lineup (che originariamente vedeva Barnes al posto di Durant) ha cominciato ad essere impiegata con più regolarità  facendo registrare un plus/minus di +17 su 100 possessi e culminando con il secondo titolo consecutivo vinto con un perentorio 4-0 sui soliti Cleveland Cavaliers, con Kevin Durant MVP delle Finals per il secondo anno consecutivo. La sensazione è che senza gli infortuni dello stesso KD e di Klay Thompson, la serie finale del 2018/2019 persa contro i Toronto Raptors sarebbe potuta finire diversamente, ma la sconfitta patita per mano di Leonard e soci non sminuisce una delle più devastanti macchine da pallacanestro create negli ultimi 30 anni.

Ci sarebbero ovviamente altre decine di quintetti che meriterebbero di entrare in questa particolare classifica e se secondo voi ne abbiamo lasciato fuori qualcuno che dovrebbe necessariamente venire considerato, fatecelo sapere nei commenti al pezzo.

Pubblicità
Davide Quaranta
Davide nasce a Pavia il 27/02/1993. La sua personale folgorazione sulla via di Damasco avviene in tenera età grazie alle giocate di Kobe Bryant e Manu Ginobili. Laureato in Economics, finance & international integration all'Università di Pavia, si è sempre definito tifoso Lakers e interista per autolesionismo. La frase che secondo lui raccoglie più di tutte l'essenza della pallacanestro è "Ball don't lie", tanto da decidere di tatuarsela addosso.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui