NBA, Philadelphia 76ers: the Ben Simmons matter

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Simmons

‘The Process is over.’

Attraverso qualche ululato dopo la fine della deludente Gara 7 persa contro Atlanta, è questo il messaggio che qualche esigente tifoso del Wells Fargo Center recapita a società, squadra, staff e qualsiasi componente del basket nella città dell’amore fraterno, dopo l’ennesima delusione. Che il pubblico di Philadelphia sia uno dei più complicati della NBA non lo scopriamo certo oggi, che il Process, uno dei più iconici processi di rebuilding della storia, avviato dal (leggendario e controverso) Sam Hinkie, sia giunto al capolinea, pare complicato ammetterlo dai suoi sostenitori più accaniti – e chi vi scrive fa parte di questa categoria. Quel che è certo, come di consueto dopo i più pesanti fallimenti sportivi, a maggior in un ambiente come quello di Philly, sono partiti adesso altri tipi di processi, che inevitabilmente non seguono alcuna linea di razionalità. Dopo due Gare 7 perse in semifinale di Conference e due eliminazioni subite dai Celtics in quattro anni, si è andato a cercare un capro espiatorio di tutti i mali dei 76ers moderni, trovato in Benjamin David Simmons da Melbourne, per tutti Ben. Se le critiche per lui, dopo una serie in cui, non solo non è stato incisivo offensivamente, ma ha anche dimostrato di non essere in grado di sostenere la pressione degli attimi finali di una partita di playoff, sono giustificate, l’accanimento mediatico scaturitosi post-eliminazione è francamente eccessivo. Tutto (o quasi) parte da questa iconica (non) giocata di Simmons nel quarto quarto di Gara 7, quando l’australiano rinuncia ad una schiacciata aperta per servire Matisse Thybulle, il quale subirà fallo e non andrà oltre l’1/2 in lunetta.

Questo momento è stato definito come il turning point della partita, della serie e forse della storia del Process, dallo stesso Joel Embiid, autore di una serie inappuntabile su un menisco in condizioni precarie, nel post-gara. Sì, perché, ad attaccare Ben Simmons nell’immediato non sono stati soltanto i tifosi (dai quali non ci si aspetta molto di diverso), ma anche chi conosce benissimo le dinamiche psicologiche del numero #25. JoJo, infatti, non ha nascosto la rabbia nei confronti della sua “spalla” in questi quattro anni di tentativi di convivenza, esternando la sua rabbia sia dentro che fuori dal campo.

Se la frustrazione di una star, che ha giocato da infortunato pur di regalare il passaggio del turno ad una franchigia con cui ha costruito un legame unico, è quantomeno comprensibile, che il coach, che aveva il compito di mettere il suo secondo violino nelle condizioni migliori per esprimersi al massimo, metta in discussione Ben Simmons, lo è un po’ meno. Le parole di Doc Rivers, infatti, sono piuttosto forti e anche un po’ fuori luogo, sintomo chiaro di un apparente punto di non ritorno.

Da qui sorge spontaneo chiedersi se sia davvero tutta colpa di Simmons il fallimento dei Sixers. Ovviamente non lo é: addossare sul singolo le ragioni di un disastro collettivo significa essere in malafede. Pur non dimenticandosi che Ben ha giocato una serie molto al di sotto delle sue potenzialità, intanto, c’è da dire che con un Joel Embiid al 100% staremmo probabilmente parlando di tutt’altra serie, con tutt’altro epilogo. Inoltre, non è che coach Rivers sia assolutamente esente dalle critiche… anzi, l’ex Celtics e Clippers comincia ad avere troppi precedenti che potrebbero costargli una fastidiosa nomea. Tra come-back subiti (molti) e Gare 7 in casa perse (altrettante), i risultati ottenuti negli ultimi anni, con a disposizione un materiale umano notevole, sono alquanto scadenti considerando che non è mai andato oltre le semifinali di Conference recentemente. In questa serie persa, tra l’altro, ha avuto il demerito di accorgersi tardi di dover impiegare lo stesso Simmons su Trae Young, consentendo alla giovane stella di Atlanta di fare il bello e il cattivo tempo in G1.

Nella gestione comunicativa, il migliore è stato indubbiamente Dwight Howard, che, da buon veterano, ha fatto uso della sua esperienza e conoscenza di questo tipo di dinamiche NBA, ribadendo la sua fiducia e prendendo le difese di Simmons. In una sua diretta sul proprio profilo Instagram, Dwight ha risposto a tono ai commenti degli haters – o supporter oltremodo arrabbiati – che attaccavano il suo compagno di squadra, verso cui ha sempre dimostrato una certa stima e voglia di motivarlo.

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