Quando la toppa NBA è peggiore del buco

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La 2023/2024 si annuncia come una delle stagioni più silenziosamente rivoluzionarie della storia NBA. L’introduzione dell’In-Season Tournament e la firma del nuovo CBA confermano la ricerca di un equilibrio sempre più vacillante tra chi il prodotto lo vuole vendere e chi lo rende vendibile, tra chi vorrebbe trarne il maggior guadagno possibile e chi continua a richiedere tutele per accettare di lasciare sul piatto una fetta delle decine di zeri che girano attorno alla lega più global del globo terracqueo. Quanto siano i giocatori e quanto siano i proprietari e le istituzioni a dover fare i primi passi per avvicinare le istanze è terreno di dibattito e, più di qualche volta, di scontro da quando l’NBA è nata, forse sottolineando quanto tutto questo sia troppo grande per poter essere inserito nei canoni tradizionali dell’organizzazione e della struttura aziendale consolidata in secoli di sviluppo economico.

Ultimi in ordine di tempo ma non d’importanza, due fatti dalle condizioni e dalle dinamiche agli antipodi ma ugualmente impattanti sul futuro a breve termine dell’NBA hanno nuovamente mostrato quanto sia presente negli USA una continua riproposizione del fare figli e figliastri, con la conseguenza di non essere un padre in grado di dare il buon esempio e non dare linee guida definite alle nuove generazioni.

L’NBA Board of Governors ha approvato, nella giornata del 13 settembre, la nuova versione della Player Partecipation Policy, implementando l’ultima Player Resting Policy datata 2017. Riportando i punti salienti della versione integrale, la lente d’ingrandimento delle nuove regolamentazioni riguarderanno gli “star player”, ossia un qualsiasi partecipante agli All-Star Game o un qualsiasi membro di un All-NBA Team nelle ultime tre stagioni. L’obiettivo della Lega è che una squadra sia priva al massimo di uno “star player” per partita, specialmente quelle in diretta nazionale, senza un “approvato” motivo che riguardi la condizione fisica. Senza entrare nel merito della definizione di “star player“, immediatamente la Lega è corsa ai ripari inserendo cavilli ed eccezioni.

I giocatori con almeno 35 anni al momento dell’Opening Night, con almeno 34.000 minuti in RS o almeno 1000 partite tra RS e PO in carriera potranno saltare i back to back a prescindere dalla Policy. Se un giocatore ha 34 anni, 33.999 minuti in RS o 999 partite in RS e PO in carriera dovrà, tramite la squadra, richiedere alla NBA con almeno una settimana d’anticipo di poter saltare una delle due gare consecutive. Paul, Mike Conley, Curry, Durant, James, DeRozan e Harden potranno, Giannis, Jokic ed Embiid no. Ha senso tutto questo? Ha senso cercare di mantenere una patina quando è stata la stessa Lega a concedere legittimi diritti di preservazione della propria integrità fisica ai protagonisti grazie ai quali l’NBA fattura quel che fattura?

L’11 settembre a New York è destinato a essere non un giorno qualunque, anche a 22 anni di distanza dal tragico 9/11 per antonomasia. Proprio in un hotel della Big Apple si sarebbe consumato l’ennesima manifestazione del complesso rapporto tra giocatori esposti a una pressione e una visibilità mediatica fuori categoria e una personalità che necessiterebbe un coinvolgimento emotivo diverso. Le accuse di aggressione e strangolamento della fidanzata di Kevin Porter Jr. sono tuttora da dimostrare e, nonostante i precedenti della guardia dei Rockets, indicarlo costi quel che costi come colpevole non è al momento giuridicamente corretto. Al di là del grado di garantismo che ogni individuo può ritenere accettabile, quel che non è accettabile è la reazione della franchigia e dell’NBA come organizzazione.

Houston non solo non ha sospeso il giocatore (non sarà presente al Training Camp ma solo perché in stato di fermo, non per indicazioni da parte dei Rockets) ma sta cercando addirittura di scambiarlo a qualche altra franchigia, col benestare (o quantomeno il tacito assenso) della Lega. Miles Bridges, pur risultando colpevole dei fatti per i quali è stato processato nel settembre scorso, non solo non è stato allontanato dall’NBA ma a ottobre 2023 tornerà a giocare con gli Hornets. Ha senso tutto questo? Ha senso tutelate i propri interessi in quanto destinataria dei proventi di un prodotto che anche ragazzi dalla dubbia gestione del prodotto stesso, a 360°, contribuiscono a generare? Non si è proprio disposti a una breve perdita del figlio nel presente per non alimentare nuovi figliastri in futuro?

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