C’è una franchigia NBA che dal 2001 a oggi è riuscita nell’impresa di superare un solo turno di playoff e che in 17 stagioni (and counting…) è rimasta esclusa dalla post season per ben 13 volte, raccogliendo, nei 4 viaggi in post season, un misero record di 6 vittorie e 18 sconfitte. Stiamo parlando ovviamente dei New York Knicks, che dal lontano 2 giugno 2000, giorno della sconfitta in Gara 6 delle Eastern Conference Finals contro i Pacers, non si affacciano ad alto livello al basket che conta.
Erano gli anni in cui la rivalità tra Pacers e Knicks era molto sentita e che si concluse sostanzialmente proprio con quella gara 6, dopo la quale i Pacers sì persero la finale contro i Lakers di Shaq e Kobe, ma seppero comunque raggiungere i playoff per altri sei anni di fila e per dodici stagioni sulle diciotto disponibili, raggiungendo per ben tre volte (2004, 2013, 2014) le finali di Conference. I Knicks, invece, non si sarebbero più ripresi da quella sconfitta, finendo in un vortice di stagioni perdenti e scelte discutibili da parte della proprietà. Dal 2000 a oggi infatti, si sono susseguiti avvicendamenti a ritmo frenetico sulla panchina, nel roster e nel management senza mai trovare un equilibrio che permettesse alla franchigia di trovare stabilità e continuità nei risultati.
L’ERA ISIAH THOMAS
Uno dei momenti più controversi della recente storia della franchigia coincide con la presidenza di Isiah Thomas, che si è reso protagonista di scelte misteriose che ancora oggi pesano sulla squadra. Rivediamone un paio, le più significative:
Gennaio 2004 – Trade Marbury – Nel 2004 i Knicks prendono dai Suns Stephon Marbury e un ormai perennemente infortunato Penny Hardaway in cambio di Antonio McDyess, Howard Eisley, Charlie Ward, Maciej Lampe e soprattutto due prime scelte (2004 e 2010). Una delle due prime scelte, quella del 2010, si rivelerà essere Gordon Hayward. Marbury lascerà i Knicks nel febbraio 2009 con un buyout dopo aver raccolto un solo turno di playoff (2004) con sweep annesso e soprattutto dopo essere stato bandito dalla squadra per ragioni comportamentali. Da Larry Brown, Isiah Thomas a Mike D’Antoni non esiste un allenatore con cui non abbia avuto uno scontro.

Ottobre 2005 – Trade Eddy Curry – Se la trade Marbury vi sembra perdente, potremmo considerare la trade che ha portato Eddie Curry e Antonio Davis a New York in cambio di Mike Sweetney, Jermaine Jackson, ma soprattutto il diritto ai Bulls di scambiare le prime scelte 2006 e 2007. Quelle scelte sarebbero poi state LaMarcus Aldridge e Joakim Noah. I Bulls decisero di cedere il loro lungo che già accusava problemi cardiaci dopo aver preso atto della decisione di Curry di non sottoporsi ad esame di DNA per capire la portata dei suoi problemi. A New York Curry lascerà invece ben poco, con l’highlight più significativo rappresentato da un’accusa di sexual harassment da parte del suo autista.
Più in generale, l’era di Isiah si è contraddistinta per una spasmodica ricerca di talento disfunzionale (Stephon Marbury, Eddie Curry, Steve Francis, Zach Randolph, Jalen Rose, ecc.) che ha avuto come risultato quello di perdere scelte importanti al draft e rendere il payroll ingestibile.
L’ERA DONNIE WALSH
Con il licenziamento di Thomas, il vulcanico Dolan sceglie l’ex VP degli Indiana Pacers Donnie Walsh come uomo guida del management. Una scelta che avrebbe potuto funzionare, dato che Walsh in qualche modo ha avuto l’abilità di ristabilire un payroll con buoni spazi di manovra, costruendo un roster partendo dalle scelte al draft e firmando nel 2010 un top FA come Amar’e Stoudemire per poter puntare a un altro top nella stessa sessione di free agency (era l’estate di LeBron James, Dwayne Wade, Chris Bosh) o a Carmelo Anthony in quella successiva. Il mancato arrivo di un altro Top Free Agent nel 2010 e la paura di non arrivare a Melo nel 2011 fa però forzare la mano a Dolan, che scavalcando Walsh preme il grilletto per uno scambio che porta Melo ai Knicks in una blockbuster trade che spedisce anche Danilo Gallinari a Denver. La trade sarà buona ma non ottima per entrambe le squadre, che forse avrebbero potuto raggiungere gli stessi risultati con altre mosse che avrebbero però permesso una maggior flessibilità salariale.

I TEMPI RECENTI
Dopo l’era Walsh, la mossa più eclatante di Dolan è stata l’assunzione di Phil Jackson come presidente. L’ex coach di Bulls e Lakers al suo arrivo imprime subito il suo marchio di fabbrica: la Triple Post Offense. Sceglie come coach Derek Fisher, appena ritiratosi da giocatore, in modo che possa essere la sua lunga mano sulle scelte tattiche della squadra.
Non va benissimo, con i Knicks che nel biennio Fisher raccolgono 49 vittorie a fronte di 115 sconfitte e il peggior record della franchigia in Regular Season nella stagione 2014-2015 con sole 17 vittorie e 65 sconfitte.
Dopo Fisher sceglie Jeff Hornacek. All’ex coach dei Suns però il messaggio è sempre lo stesso: “Si gioca la triangolo!”
Hornacek, presumiamo scettico, asseconda coach Zen, ma i giocatori non sembrano convintissimi, soprattutto perché gli allenamenti prevedono di difendere contro lo stesso attacco, sebbene nessun altro a parte loro lo utilizzi.
Phil Jacskon ha ereditato una squadra senza spazio di manovra salariale, avendo anche un Andrea Bargnani con un pesante contratto acquisito in una trade perdente che avrebbe potuto portare Jamal Murray a NY, ci ha anche messo del suo offrendo un contratto oneroso a un fisicamente disastrato Joakim Noah prendendosi anche un povero Derrick Rose, ormai ombra del giocatore che fu. Phil però ha avuto il merito di scegliere Kristaps Porzingis, la grande speranza di rinascita della franchigia. I rapporti tesi tra i due, con il lettone che non si presenta al classico colloquio di fine stagione, avrebbero potuto avere conseguenze tragiche per la squadra, che però si separa da coach Zen appena in tempo prima che l’unicorno chiedesse una trade.
IL FUTURO
L’infortunio di Porzingis non è sicuramente una buona notizia per i Knicks (rottura del crociato anteriore), che hanno anche la difficile decisione sull’eventuale rifirma di Enes Kanter avendo ancora a payroll Joakim Noah per due stagioni. Di positivo c’è che, al momento, rispetto alle nefaste decisioni del passato, il management ha deciso di tenere tutte le prime scelte future, in modo da ricostruire partendo dalle basi, nella speranza che uno tra Ntilikina e Mudiay possa esplodere e diventare un altro importante tassello per il futuro.
La speranza i tifosi dei Knicks non l’hanno mai persa, ma la pazienza, quella, l’hanno esaurita da tempo.