Nicolò Melli: “Nella prima Milano arrivava sempre qualcun altro”

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Nicolò Melli
Credits Fenerbahce Beko

Il capitano della Nazionale italiana Nicolò Melli, è stato sopite di Gianluca Basile, insieme a Michele Vitali, di Basketball & Conversation. Nel corso delle lunga chiacchierata con Gianluca Basile, Nicolò Melli ha raccontato vari retroscena della sua carriera.

Andiamo a scoprire quali sono.

Il primo addio a Milano

“Partivo sempre da dietro e ci poteva stare. Avevo ventuno, ventidue anni. Finivo la stagione in quintetto, ma quella dopo arrivava un altro. Il problema è che questa cosa è accaduta anche dopo lo Scudetto. Poi è arrivata l’occasione di andare all’estero. Volevo assumermi le mie responsabilità e fare un passo avanti nella mia carriera. Mi sembrava sempre di essere il criceto sulla ruota”.

Sulla sua esperienza all’estero

“Andare all’estero aveva sicuro degli svantaggi, ma anche dei vantaggi. Ti costringe a uscire dalla tua comfort zone: non hai famiglia, amici, non parli la lingua e ti ritrovi in situazioni con usi e costumi diversi dai tuoi. Ci sono anche aspetti positivi. Innanzitutto, se una formazione estera ti sceglie non lo fa per il passaporto, ma per quello che puoi dare in campo. Questo è un riconoscimento concreto del tuo valore. Altro vantaggio, per me, è che, trovandoti in un paese di cui non conosci la lingua, vivi in una sorta di bolla. Non capisci tutto ciò che ti accade attorno: non sai come sono organizzate le squadre, non ti accorgi di chi si lamenta di chi. Questo isolamento ti porta a concentrarti esclusivamente sul tuo lavoro, senza farti influenzare da dinamiche esterne”.

Sul rapporto con gli allenatori

“Le esperienze che ho vissuto a 16 anni, i metodi di certi allenatori, oggi non sarebbero più accettati. E, a mio avviso, è positivo. Alcune cose che accadevano allora non avevano senso, non solo per me ma anche per i miei compagni e gli avversari. Però, ammetto che affrontare le difficoltà, lasciare casa a 17 anni, mi ha fatto crescere. Anche spaccarmi le ginocchia in allenamento. Ma oggi certi comportamenti non sono più accettati, ed è un bene”.

Sulle differenze

“Giochiamo 90 gare a stagione, non c’è tempo per i doppi allenamenti di una volta. Si lavora su video, preparazione atletica, pesi e sedute individuali. Al Fenerbahçe se facciamo 35 minuti di 5 contro 5 è tanto. La NBA è ancora più estrema: magari 10 minuti di allenamento collettivo, ma sono i giocatori più forti al mondo. Mi mancava il gioco di squadra europeo, dove ogni partita ha un peso specifico. Quando ero lì, eravamo 0-3 e mi dicevano ‘Tranquilli, miglioreremo’. A 0-7 ‘Va tutto bene, cresceremo’. Mi sembrava assurdo, In Europa se una squadra parte male si cambia tutto subito”.

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Stefano Sanaldi
Quello con la palla a spicchi è stato amore a prima vista. Una volta appese le scarpe al chiodo, ho deciso di allenare le nuove generazioni per rimanere in questo fantastico mondo. E poter scrivere di pallacanestro è un piacere e un onore.

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