Zare Markovski e il platoon system erano arrivati a Milano per cambiare la percezione del gioco e delle rotazioni. L’esperimento andò piuttosto male e dopo poche giornate subentrò Attilio Caja. Abbiamo intervistato il coach nella nostra Backdoor One to one, dove ci ha raccontato come cambiò quell’Olimpia Milano rendendola performante e molto solida. Qui ci ha spiegato come ha cambiato identità alla squadra. La riflessione può essere se un metodo simile possa essere applicabile anche a un’Olimpia completamente diversa come quella di oggi.
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Prima c’era una squadra di una grande impronta americana. Mi ricordo che c’era Reece Gaines come guardia, in playmaker, adesso mi sfugge anche il nome (Will Conroy), ma insomma non sicuramente un giocatore che poi è passato agli annali per la sua carriera e Hervé Touré come quattro, insomma tutti giocatori veramente di poca consistenza. Allora io, fortunatamente, per mettere un po’ al centro di tutti Danilo Gallinari e Dusan Vukcevic, sono andato a riattivare un giocatore che aveva quasi deciso di smettere, come Melvin Booker. Il papà, per chi non sapesse, di Devin Booker.
Melvin, che io avevo avuto sei anni prima a Pesaro in un’altra mia esperienza molto positiva, aveva deciso di smettere, eravamo a novembre e gli ho fatto una chiamata, Abbiamo cominciato da lui e poi un altro giocatore che fu molto importante in quella squadra come Mindaugas Katelynas, che noi prendiamo il posto di Herve Touré, in modo tale che fosse complementare con Ansu Sesay, che era il quattro titolare. C’era TJ Watson, Katelynas e poi c’era Casey Shaw, altro lungo dalla panchina, che creava un gruppo molto consistente. Ma c’era soprattutto l’asse perimetrale che era la base solida su cui si basava la nostra squadra. Melvin Booker, Dusan Vukcevic e Danilo Gallinari, il quale ha potuto far veramente vedere tutte le sue enormi e grandissime qualità all’Olimpia Milano.