Una semplice nota apparsa sul sito nel New York Times ha provocato un terremoto nel mondo dell’editoria sportiva americana e mondiale. La scossa, di magnitudo 550 milioni di dollari, ha avuto come epicentro la famosissima testata online The Athletic. Vi sarà capitato almeno una volta di imbattervi in uno dei suoi meravigliosi e dettagliati approfondimenti, non negatelo. La piattaforma, lanciata nel gennaio 2016 a Chicago da Alex Mather e Adam Hansmann, ha raccolto nel coro di pochi anni la fiducia dei lettori più affezionati. Tanto che, stando agli ultimi dati, il sito offra contenuti completi ed esclusivi a una platea di 1,5 milioni di abbonati. L’acquisto della piattaforma da parte del NYT agisce propria in quest’ottica: se l’obiettivo della più grande impresa editoriale del mondo è quello di raggiungere i 10 milioni di abbonamenti entro il 2025, addizionare ai propri 8 milioni di fedeli quelli di The Athletic è un’operazione tutt’altro che da sottovalutare.
L’amministratrice delegata della New York Times Company ha commentato la vicenda in maniera laconica: “L’acquisizione ci mette nella posizione di essere un leader globale nel giornalismo sportivo… accelererà la nostra capacità di aumentare e approfondire i rapporti con gli abbonati”. Parole fredde, che non lasciano trasparire alcuna emozione. The Athletic, ai suoi occhi, potrà apparire come una semplice azienda in grado di generare profitto. Invece è molto di più. È casa di interviste e opinioni tra le più competenti e professionali. È rifugio caldo nelle fredde e aride distese del giornalismo sportivo, concentrato sulla mera attualità e lontano dal racconto di donne e uomini prima ancora che sportivi. Meredith Kopit Levien non si sta rendendo conto del rischio che questa svolta porta con sé. Perché la ferita di Grantland è fresca. Mai realmente rimarginata. Ci è sufficiente quella.
New York Times to buy The Athletic for $550 million https://t.co/6NngzRAvtN
— Smiling Jack Vaughan (@SmilingVaughan) January 7, 2022
Una testata online che garantiva un servizio encomiabile. Trattare di basket e di altri sport a livello culturale e intellettuale. Allontanarsi dal campo per poterlo analizzare ancora più in profondità, raccontando della vita attraverso l’evento sportivo. Grantland era tutto questo. Era, purtroppo. Quando ESPN, nuova proprietaria della testata, nel 2015 decide di non rinnovare il contratto di Bill Simmons, il progetto naufraga completamente. La linea editoriale aveva preso una piega poco gradita a un giornalista la cui centralità fondativa per Grantland, al netto di apprezzamenti personali sullo stile e sulle opinioni espresse, non si metteva in dubbio. Errare humanum est, perseverare diabolicum. Giusto, signora Kopit Levien?
La sfida più grande per The Athletic inizia ora. Riuscire a mantenere integrità e status mostrati finora è l’ostacolo più grande che la redazione statunitense abbia mai dovuto superare. Dagli inizi in Illinois alle prime espansioni a Toronto, Cleveland e Detroit. Dal basket all’allargamento a tutti gli sport americani, a livello sia professionistico che collegiale. Dal mercato americano a quello inglese, con l’ampliamento nel mondo del calcio britannico. Dalla ricerca di compratori per poter soddisfare esigenze di mercato sempre più grandi al tira e molla col NYT, rifiutato una volta nel giugno 2021 e accontentato con l’inizio del nuovo anno. La nostra richiesta è tanto semplice quanto difficile da esaudire. Rimani te stesso, The Athletic. Non snaturarti. Come direbbe Antonio Capuano: Non ti disunire!