NBA: “Carter effect”, un uomo che cambiò una squadra

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Vince Carter

Tutti ci prendevano in giro, eravamo la squadra col dinosauro culone sulla maglia. I Raptors erano gli animali cattivi dei film…e noi abbiamo preso il nome da un film. C’erano stelle della NBA, ma Toronto non era una città della NBA.

Scordatevi il “We The North”, le uniformi nere e oro, il primo posto a est, due All Stars titolari in squadra. E dimenticatevi ambasciatori e celebrità del calibro di Drizzy Drake. Questa è la storia di come un giocatore e uno slam dunk contest hanno cambiato la percezione di una franchigia nella NBA e nella comunità di un’intera città. Questa è la storia di come Vince Carter ha plasmato la Toronto di oggi e impattato sulla cultura popolare del Nord America.

Distribuito da Netflix e prodotto dalla Uninterrupted di Lebron James e del suo manager Maverick Carter, assieme a Drake e al suo manager Adel “Future” Nur, THE CARTER EFFECT è il documentario che racconta come  il leggendario show allo Slam Dunk Contest dell’All Star Game di Oakland nel 2000 contribuì a cambiare per sempre l’immagine dei Raptors, iniziando un percorso di radicamento nel tessuto sociale della città che avrebbe influenzato le generazioni future e contribuito a creare un vero e proprio culto attorno a quella squadra e soprattutto a quel giocatore conosciuto come Vince Carter.

GLI INIZI

A volere fortemente il Canada come territorio di sviluppo fu, manco a dirlo, il lungimirante commissioner David Stern. Sul finire del 1993 l’NBA, da pochissimo orfana di Michael Jordan in seguito al suo primo ritiro, iniziò dunque l’iter per la nascita della nuova franchigia. Le olimpiadi del 1992 e il Dream Team avevano influito positivamente sull’immagine della lega a livello globale e Stern stava iniziando a pensare a come espandere il brand e creare nuovi tifosi per continuare quel processo di fidelizzazione dei fan al prodotto NBA e di promozione dello stesso che con Magic, Bird e soprattutto Michael aveva avuto una crescita tale da diventare un vero e proprio marchio conosciuto in tutto il mondo. Ma perché Toronto? La piazza era legata all’hockey, non al basket, tuttavia la grande visione di Stern lo portò a credere in quella città, con lo scopo preciso di volersi legare non agli appassionati sportivi adulti del momento, ma a crescere i tifosi del domani, i bambini che in futuro sarebbero diventati genitori e fan della NBA. Inoltre Toronto aveva avuto gli Huskies, una delle squadre fondatrici della NBA che giocarono la prima partita della lega contro i Knicks.
I Raptors vedono la luce due anni dopo, nel 1995 e il nome è davvero ispirato al film del momento, che ovviamente è Jurassic Park. Tra i 10 nomi finalisti in lizza – Beavers, Bobcats, Dragons, Grizzlies, Hogs (Toronto è chiamata Hogtown), Raptors, Scorpions, T-Rex, Tarantulas, and Terriers – i fan (per lo più bambini)  decidono proprio quello ispirato alla specie di rettili che li aveva terrorizzati nel film di Spielberg.

L’ATTERRAGGIO DELL’ASTRONAVE CARTER

Dopo due stagioni non indimenticabili gli arrivi di Tracy Mcgrady nel 1997 e di suo cugino Vince Carter nel 1998 segnarono l’inizio del cambiamento. In concomitanza con l’arrivo di Carter inoltre, il team passò a giocare dallo SkyDome all’Air Canada Centre. Quello che segue nella narrazione del documentario è il racconto dell’affermazione di Carter in Canada, che portò la franchigia a essere vista con un occhio diverso rispetto a prima. Da disadattati ed eterni ultimi a esibizionisti capaci di divertire e infine, dopo l’All Star Game del 2000, una nuova piazza interessante capace di attirare a sé persone che mai avevano visto una partita di basket. L’apice del periodo Vince Carter a Toronto si ebbe nel 2001, quando la squadra arrivò a giocarsi gara 7 delle finali di conference contro i Philadelphia 76Ers di Allen Iverson, perdendo in una partita che per Carter avrà per sempre un sapore amaro. 87 – 88 con il suo jump shot sbagliato a 2 secondi dalla fine e la pioggia di critiche per aver passato la mattina di quella giornata in North Carolina alla sua proclamazione di laurea.

LA VINSANITY

Interessante è anche quanto viene riportato riguardo il mercato delle sneakers, che dopo il boom dell’era Jordan vide Reebook, Adidas e le altre concorrenti dello Swoosh provare a replicare la stessa operazione che aveva legato MJ all’azienda dell’Oregon, puntando sul creare un brand attorno ad un atleta. L’azienda che decide di scommettere prima di tutti su Vince è Puma, che lo firmò prima ancora del suo ingresso nella lega, decidendo di puntare su di lui con un contratto di 10 anni per rilanciarsi nel basket. Emblematica è la considerazione che fa nel documentario l’Executive di Puma dell’epoca Jay Piccola:

Fa che non vada a Toronto, non abbiamo bisogno di lui in Canada ma negli USA.

Del resto il Canada era un paese in cui le convention di sneakers erano semideserte e dove si potevano trovare nei negozi Jordan invendute scontate addirittura del 50, 70%. La verità è che Vince divenne l’attrazione principale non solo dei Raptors, ma anche di Sports Center, che ogni settimana includeva almeno una sua azione nelle classifiche delle migliori giocate. La squadra con lui passò da un  record di 16-66 nella stagione precedente al suo arrivo ad un 23-27, con Vince che chiuse la sua stagione da matricola vincendo il Rookie of the Year, a 18,3 punti di media e 50 gare giocate, di cui 49 partendo nel quintetto titolare (NB: la stagione 1998–99 fu più corta a causa del lockout: partì a gennaio e si giocarono 50 partite invece delle usuali 82). Numeri e acrobazie che gli valsero l’anno dopo la sua prima scarpa personalizzata: la Puma Vinsanity 1. Il matrimonio tra l’azienda tedesca e Vince però durò in totale due stagioni, quando Vinsanity (ormai diventato il suo nickname ufficiale) passò a Nike e iniziò a giocare con un modello personalizzato delle Shox.

Dopo la prova di Oakland 2000 si risvegliò un sentimento assopito in città, un sentimento di orgoglio verso quella strana squadra che aveva deciso di avere un dinosauro come simbolo. I bambini (tra i quali da qualche parte in America c’era anche Kevin Durant) si appassionarono a quel giocatore col 15 e a quelle maglie viola, i tifosi iniziarono a pagare il biglietto per riempire l’Air Canada Centre anche per il basket e gli adolescenti vicini alla cultura hip hop che stavano crescendo nell’ambiente di Toronto iniziarono a portare nella loro musica tanti riferimenti alla loro città. Un posto che era rimasto quasi segreto o non considerato e che ora grazie a Carter aveva ricevuto un’improvvisa ondata di notorietà. Da qui nacque Drake, che in carriera ha dedicato alcuni pezzi alla capitale dell’Ontario (5 am in Toronto, 6 God, 6 man) e ha sempre cercato di portare i luoghi in cui lui è cresciuto nella sua musica. Ah….il numero 6 spesso usato da Drake è anch’esso legato a Toronto: la città infatti è chiamata The 6ix perché nata ufficialmente nel 1998 dall’unione di sei città vicine tra loro, che quell’anno vennero riunite dal governatore dell’Ontario.

Dopo l’11 febbraio 2000 anche la conformazione fisica della città di Toronto cambiò per sempre. Nuovi playground iniziarono a sorgere per permettere ai più giovani di coltivare la loro nuova passione e Vince stesso ne inaugurò uno a Etobicoke.
Anche la vita notturna ne risentì positivamente. Toronto iniziò a essere frequentata da altre stelle della NBA e del cinema, incuriosite da quella nuova ventata di aria fresca che arrivava da nord e i locali notturni andarono incontro alle loro esigenze: Carter divenne coproprietario di un club e introdusse la tipica usanza della bottiglia ai tavoli che fino a quel momento era prerogativa solo aldilà del confine. Negli USA. E i risvolti dell’effetto Carter nella NBA? Ancora oggi lo show di quello Slam Dunk Contest è considerato un benchmark da superare. In pochi hanno saputo fare meglio di quello spettacolo imbastito quella notte a Oakland e non è mancato chi in questi anni ha voluto rendere omaggio a Vince. Un Esempio è Terrence Ross, che durante lo show del 2013, da giocatore dei Raptors, rese tributo a Vince con questa schiacciata. Lui all’epoca dello show di Oakland aveva nove anni.

Oppure Donovan Mitchell, con questa schiacciata durante lo Slam Dunk Contest del 2018. Lui nel 2000 di anni ne aveva appena quattro.

Vince Carter sarà per sempre ricordato a Toronto come colui che ha fatto ruggire per la prima volta i Raptors; la standing ovation riservatagli al suo ritorno da avversario nel 2014 in maglia Grizzlies e la sua reazione sono la dimostrazione del legame forte tra lui e la città. Non per altro tra i suoi soprannomi c’è anche Air Canada. Come disse nel 2001 dopo una prestazione da 51 punti contro i Suns, all’esordio assoluto dei Raptors sulla tv nazionale americana NBC:

Io ho fatto mia la causa di mettere Toronto sulla mappa della NBA.

Toronto ora partecipa da quattro anni consecutivi ai playoff a Est, ha avuto in quintetto due titolari All Stars e ha appena arruolato l’MVP delle NBA Finals 2014.
In questo documentario il gesto atletico viene enfatizzato al massimo e si racconta quanto questo sport e il business che ne sta attorno possano influenzare la vita delle persone e dei più giovani in particolare.Tre schiacciate in una notte di febbraio diedero il via a un motto che oggi risuona forte in Ontario e nella Eastern Conference. WE THE NORTH.

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Mario Mancuso
useless man. Piccolo calciofilo, adolescente baskettaro, mai e poi mai adulto. Amo le storie e poterle raccontare